Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

martedì 15 dicembre 2020

Le origini di Bali e la figura di Markandeya


    Lo studio della storia balinese mette spesso assieme fatti storici con storie tramandate attraverso il folklore. Una talle commistione riflette lo stile di vita e le convinzioni del popolo balinese, che per certi versi sono ancora avvolti nella superstizione.

    La narrazione dei miti fondanti la società balinese proviene generalmente da cronache, purana, tatwa sia in forma di scrittura (lontar) sia da storie orali che sono state tramandate di generazione in generazione. Tutto questo materiale, sebbene non  rigorosamente scientifico, è quantomeno importante come materiale di confronto per scoprire fatti storici realmente accaduti. È un fatto che molte delle reliquie storiche scoperte a Bali siano state trovate sulla base dello studio di questi racconti popolari. 

    Lo sviluppo dell'induismo a Bali come lo conosciamo, con la sua diversità culturale e di tradizioni, si è formato attraverso un lungo processo storico. Una parte importante di tale  evoluzione avvenne nel cosiddetto periodo dharmayatra, quando si assistette all’arrivo documentato in isola di vari santoni e sacerdoti, che portarono in isola i fondamenti di induismo e buddismo, allora già diffusi a Giava e Sumatra.

    Gli abitanti indigeni di Bali, ora chiamati Bali Mula, fino ad allora non avevano un complesso strutturato di regole religiose, essendo sostanzialmente animisti e aderenti al culto degli antenati, che chiamavano Hyang.

    Una delle figure a cui si fa riferimento per illustrare gli inizi dello sviluppo dell'induismo a Bali è  MahaRsi Markandeya, che per primo ha definito e implementato il Panca Datu e ha aperto la strada alla colonizzazione e popolamento di Bali nel IX secolo. Il periodo del suo arrivo è coinciso con l'introduzione a Bali di nuove forme religiose e sistemi di coltivazioni agricole, rese possibili dallo sviluppo di un nuovo sistema condiviso di irrigazione (Subak), ancor oggi in uso, considerato una delle unicità della cultura balinese.

    Ciò che rimane della vita di Markandeya, a parte una scarna serie di iscrizioni, è in forma di lontar o Purana, in particolare il lontar Markandeya Purana, che racconta le origini del MahaRsi e il suo viaggio di ricerca spirituale. La versione sanscrita del Purana è uno dei testi di letteratura indiana più antichi che tratta di religione indù. 

    Nella versione tramandata in Indonesia e Bali, si narra che MahaRsi Markandeya compì  il suo   viaggio ieratico nella terra di Jawadwipa (l’odierna Giava) partendo dall'India del sud. Praticò la meditazione yoga sul Monte Demulung, poi continuò il cammino verso il Monte Di Hyang (l’odierno altopiano Dieng, nella Giava centrale), che a quel tempo era sotto il controllo dell'antica Mataram (dinastia Sanjaya e Syailendra).

    Forse a causa di un disastro naturale (eruzione del vulcano) del Monte Di Hyang o, come narra il folklore, perché spesso disturbato da jins e demoni, Rsi Markandeya continuò il suo viaggio verso est fino al Monte Rawung (l’odierno vulcano Raung), che si trova a Giava orientale. In quell’epoca vi fu realmente un trasferimento di poteri da Giava Centrale a Giava Orientale, dal regno di Mataram Kun al regno di Medang Kemulan con il re Pu Sindok. 

    Sul Monte Rawung, il MahaRsi e i suoi seguaci costruirono un luogo di meditazione ed insegnamento, un pasraman. Grazie alla sua diligenza, fede e perseveranza nella meditazione e nello yoga, voci soprannaturali gli dissero che avrebbe dovuto integrarsi ed aiutare la popolazione che ne abitava le pendici.  Iniziò così un’opera di disboscamento e diffusione di pratiche agricole, oltre che di un nuovo credo religioso basato su yoga e meditazione, che avrebbe creato, tra gli abitanti, figli di indiani e giavanesi, nuovi aderenti. Queste persone erano chiamate "Wong Aga", o Popolo Aga.

    Si ritiene che il pasraman si trovi nel luogo in cui si trova ora il Tempio Gumuk Kancil nel villaggio di Bumiharjo, distretto di Glenmore, reggenza di Banyuwangi.

    Dopo aver trascorso un po 'di tempo sul Monte Rawang, sempre su consiglio divino, Markandeya si propose di continuare il suo viaggio verso est. A quel tempo l'isola di Bali non era ancora conosciuta con il suo nome attuale. I marinai che solcavano i mari di Giava e Lombok pensavano che Bali fosse parte di un'isola allungata che si integrava con quelle che oggi conosciamo come le Nusa Tenggara Barat (Lombok e Sumbawa). Infatti, nel Markandeya Purana  l'isola di Bali è chiamata Nusa Dawa/Pulau Panjang (isola lunga).

    Qui si recò dunque, attraversando il Segara Rupek (stretto tra Giava e Bali) accompagnato da circa 8.000 "Wong Aga". Trovarono molte fonti d'acqua naturali e si industriarono per liberare tratti di foresta per far spazio a risaie e altre colture. Questi sforzi, tuttavia, fallirono a causa di ripetute malattie, attacchi di tigri ed enormi serpenti velenosi. Vedendo che queste azioni non stavano avendo l'effetto desiderato, Markandeya pensò che vi fosse un'aura misteriosa, così forte da controllare quest'isola e decise di tornare al suo pasraman sul  Monte Raung per meditare di nuovo.

    Ed ottenne le sue risposte soprannaturali che lo spinsero ad organizzare una nuova spedizione a Bali con circa 4.000 uomini, ma su basi diverse. La meditazione gli fece capire che avrebbe dovuto instaurare un rapporto diverso con la natura del luogo e con le essenze soprannaturali che la governavano. Doveva mostrare rispetto, almeno nella forma, e chiedere “permesso” agli spiriti locali prima di prendere in prestito le terre per i nuovi insediamenti.

    Dopo il suo arrivo nella foresta balinese con i suoi seguaci, decise di tenere una cerimonia sacra nel luogo più alto dell'isola, che considerò il luogo più santo. Scalarono il monte Agung, che allora era conosciuto come Toh Langkir e qui seppellirono cinque tipi di metallo ("Pancadatu", oro, argento, bronzo, rame e ottone) che si pensava possedessero la potenza per respingere le forze del male e resistere ai poteri malevoli. 

    Si pensa che questo luogo corrisponda all’attuale Pura Basukihan, situato proprio ai piedi della salita per entrare nell'area di Pura Penataran Agung Besakih.

    È possibile che quando si trovò in cima al Toh Langkir (Monte Agung), Rsi Markandeya si rese conto che l'isola di Bali era solo una piccola isola, quindi pensò che il nome Pulau Panjang non fosse del tutto corretto e lo sostituì con il nome di Bali. La parola Bali stessa deriva dalla lingua Palawa, dell'India meridionale, terra natale di MahaRsi, e significa più o meno “offrire”, considerando ciò che gli dei ispirarono a Rsi Markandeya come celebrazione necessaria per ingraziarsi, gloriare e bilanciare le forze dell'universo in cui viviamo.

    Questa volta Markandeya e i suoi seguaci agirono in modo consono, e i loro tentativi di ripulire la foresta ebbero successo. Furono costruiti ampi terreni per le risaie e l'agricoltura, ma anche luoghi dove costruire abitazioni. La terra fu distribuita ai suoi adepti che si stabilirono in quello che ora è conosciuto come il villaggio di Puwakan (in indonesiano "Pembagian", divisione), vicino Taro (a nord di Ubud), considerato il villaggio più antico dell'isola di Bali. In quest’area, in mezzo alla foresta, si trova uno dei luoghi sacri più venerati dai balinesi, il Pura Sabang Daat, che sembra risalga a quel periodo.

    Fu nell’area compresa tra gli attuali villaggi di Taro e, più a sud, Payangan, che Markandeya pose le basi concettuali della neonata società balinese degli Aga. Suddivise i suoi seguaci wong Aga, noti a Giava per essere abili contadini e industriosi artigiani, in base alle loro capacità lavorative e diede origine così ai clan che ancora oggi formano l’ossatura della società balinese: bhujangga, pasek, pande, dukuh ecc. 

    Gli insegnamenti di Markandeya si possono considerare una sorta di manuale di sopravvivenza per questi gruppi di colonizzatori dell’isola, corredato, oltre che di procedure pratiche inerenti agricoltura e allevamento, anche del supporto filosofico/religioso considerato necessario per un corretto bilanciamento tra il mondo degli umani e quello della natura/divinità. Da qui la necessità di edificare luoghi di devozione e meditazione e di diffusione di una nuova forma di culto basata su rigorose pratiche di sacrificio/offerta, ringraziamento e celebrazione del divino, per conquistarne favore e benevolenza.

    La chiave di lettura potrebbe essere che il mito di Markandeya narra del passaggio dall’animismo puro e “anarchico” degli indigeni balinesi, all’induismo strutturato di origine Indo-giavanese. Nel contempo parla di una ondata di colonizzazione delle zone montane e vergini dell’isola che introduce, laddove c’erano forse solo cacciatori/raccoglitori, pratiche nuove legate ad una nuova organizzazione sociale sedentaria: disboscamento, coltivazione del riso, colture vegetali, allevamento di animali, comunità stabili e popolazione stratificata, con professioni ben distinte. Il tutto reso possibile da un avvicinamento lento, costellato di errori dovuti alla scarsa conoscenza del terreno e della sua “natura”. 

    Solo attraverso lo studio e la comprensione (la “meditazione”) della natura selvatica dell'isola si è potuto determinare la tattica adeguata per l'insediamento con successo di una nuova popolazione: i Bali Aga.

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