Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

lunedì 19 ottobre 2020

Le fanciulle del rejang

   


    Una delle forme artistiche che assume la celebrazione del divino a Bali è il rejang. Una danza rituale, parte delle upacara dewa yadnia o offerte sacre alla divinità, che è ringraziamento alle attenzioni che il dio e gli antenati deificati pongono alla comunità, tenendola lontana da malattie, sciagure “naturali”, scarsi raccolti.

   Un rejang è organizzato ogni volta che il ringraziamento deve prendere la forma di coreografia di danzatrici femminili, in costumi particolarmente elaborati e ghirlande sul capo composte da infinite composizioni floreali che, in casi particolari, arrivano a preziosi diademi dorati.

   Il rejang è la canonizzazione di un’antico e necessario rito di passaggio, con cui le vergini della comunità si presentano ai probabili mariti e alle loro madri, al meglio del loro aspetto estetico e all’interno di una coreografia che esalta la loro femminilità, secondo il canone locale: serietà, compostezza, grazia, bellezza. Una sensualità composta.

   Nella regione di Karangasem, nella valle del Tukad Bangka, tra l’altura del Pura Lempuyang e il Gunung Agung, questo rituale si tiene in particolare alla fine del Galungan, nei giorni di Kuningan e umanis, quando le divinità rientrano nella loro dimora celeste e i devoti le salutano mettendo in campo preghiere, offerte, musica e danza sacre. Qui i costumi delle ragazze sono confezionati ed usati espressamente per questa cerimonia e le ghirlande sul capo esprimono con grande finezza e senso estetico il legame con la terra, i fiori e le foglie della natura esuberante.

   Ogni villaggio di quest’area pratica il rejang kuningan, con costumi e copricapo originali, in una sinfonia di colori sulle note ritmate e dolenti del gamelan gambang.

 

  Le ragazze si esibiscono con movenze aggraziate e lente, danzando in fila per tre volte attorno ai pelinggih del Pura Puseh, il tempio delle origini, per sottolineare la devozione e il ringraziamento agli antenati.

   Ragazzine, i tratti del volto evidenziati da un trucco intenzionalmente appesantito, attendono serie e un po’ imbronciate l’inizio della cerimonia. Arrivano alla spicciolata, alcune accompagnate da genitori e amici, siedono composte, il busto eretto, lo sguardo sfuggente. Altre si immergono subito nel mondo conosciuto e senza responsabilità del telefonino: mandano messaggi, si scambiano foto, quasi vogliano sfuggire alla sacralità del momento.

   I fotografi si aggirano tra loro: schierate immobili appaiono come prede impaurite. Ma sono solo consapevoli del gioco curioso e birichino di concedere al mondo la propria immagine. In fondo sono alla rappresentazione della verginità e femminilità e la civetteria oggi non è nulla di sconveniente.

   Le più scaltre e smaliziate si prestano a vere sessioni di posa, guardano l’obbiettivo senza pudore e con uno sguardo consapevole che sa già di età adulta. Alcune, poche in verità, delle vere bellezze anche secondo un canone universale e “televisivo”, sono inseguite e bombardate di scatti. Forse sono già entrate nel mondo, patinato e fuorviante, della moda, della televisione, della pubblicità. I loro sguardi languidi da principessa orientale fanno probabilmente gola alle agenzie pubblicitarie alla ricerca di volti nuovi da sbattere in prima serata per vendere più shampoo.

   Le madri, deposte le offerte sotto il balai, si affrettano a dare gli ultimi consigli e ad aggiustare con pochi tocchi le ghirlande di fiori o la fascia colorata indossata come cintura.

   Poi partono le note malinconiche e ritmate del gamelan di bambù e le bambine, in fila indiana in ordine d’età, si muovono lente e sinuose attorno agli altari del tempio.

   Tre volte dura il percorso, spesso sotto il sole cocente del mezzodì, a piedi scalzi sopra uno spazio lastricato di pietra lavica. Tanto arriva a scottare il selciato che un uomo versa acqua per alleviare i piccoli piedi, che continuano a strisciare, girare, sollevarsi, passo dopo passo.

  

  Le prime della fila, le meno giovani, le più belle, hanno già fatto questa danza e conducono le altre, via via più piccole, meno esperte e, più passa il tempo, meno interessate e concentrate. Le piccoline accennano appena i movimenti di braccia e gambe, obbligate ad un apprendimento che si rinnoverà anno dopo anno fino al matrimonio. Talvolta una madre si affianca alla figlia e le raddrizza il copricapo o le aggiusta il corpetto.

   Allo scoccare dell’ultima nota di gong la fila si ferma e le ragazze sciamano via, finalmente libere di riposarsi all’ombra con amici e parenti, pronti a elargire commenti e pettegolezzi. Gli dei, appagati, si ritirano in luoghi inaccessibili. Gli sguardi si fanno più aperti e sinceri e il sorriso ricolora di candido i volti delle fanciulle.