Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

sabato 26 gennaio 2013

Pis bolong, le monete di Bali




Si trovano ovunque, nel fango dopo un acquazzone, tra i resti delle offerte di fiori e incenso, incrostate in un asfalto approssimativo, appese a gruppi attorno a figurine votive nei templi. Sono le vecchie monete cinesi che a Bali sono state per secoli usate come valuta locale. Il loro nome originale, kepeng, è stato plasmato dai Balinesi in pis bolong, per dar risalto al foro centrale, il bolong, rispetto al conio pieno in rame che lo attornia. Pieno e vuoto, tangibile e intangibile, sekala e niskala, ancora opposti che s’incontrano tra le mani degli isolani. Un pieno di valore che ruota attorno ad un vuoto. L’origine cinese si intuisce dagli ideogrammi che incidono il disco metallico.

Nonostante i tempi dei colonizzatori olandesi siano passati, e con loro il monopolio del commercio del rame, il pis bolong continua a valere 250 rupie, circa 2 centesimi di euro, sebbene siano monete fuori corso. E’ impiegato ancora largamente nelle occasioni cerimoniali, incarnando nella sua crosta turchina ossidata cinque dei nove elementi dell’universo balinese: pertiwi (terra/sostanza solida), apah (acqua/sostanza fluida), teja (fuoco/luce/calore), bayu (aria), e akasa (spazio/etere). E’ come panca dathu che il pis bolong è usato nelle offerte cerimoniali in tutta l’isola.

Quando si deve costruire un edificio, si deve riempirne lo spazio con i cinque elementi del panca dathu. Quando l’edifico è completato va fatto “vivere” di vita autonoma con una cerimonia apposita, uripanga, ricca di offerte. Sopra ognuna di queste, adagiato sulla manciata di cinque fiori e erbe che simboleggiano gli dei principali del cosmo (Pancadewata, Brahma, Wisnu, Iswara, Mahadewa e Siwa) deve fare bella mostra di sé un kepeng, che in effetti renda sacra (sari) l’offerta stessa (canang). In tal modo l’equilibrio, tanto caro ai Balinesi, viene mantenuto anche simbolicamente tra il materiale (pieno) e lo spirituale (vuoto).


Anche se oggigiorno monete da 500 rupie rimpiazzano il più affascinante conio cinese, il valore esoterico del kepeng rimane. Una collana di kepeng cinge la bottiglia di acqua sacra o tirta, un bracciale di kepeng protegge gli infanti dall’influenza di spiriti malvagi. Viene perfino gettato a manciate lungo il percorso del corteo funebre durante una cremazione, a rammentare a tutti che la ricchezza ti accompagna solo fino alla morte e solo il proprio karma ci accompagna oltre.
Quando si visita un prete o un guaritore si usa porgere un’offerta, il pejati,  “nobilitata” da qualche kepeng. E’ più una forma di rispetto che un valore dato all’opera di guarigione. In realtà quando ho avuto bisogno di un terapista tradizionale, mi è stato detto di sostituire al kepeng alcune decine di migliaia di rupie, non una grande somma ma abbastanza per conservare il carattere simbolico e rispettoso dell’offerta.

A coronamento del significato simbolico del kepeng stanno le figurine votive del dio Batara Sedana costruite intessendo tra loro centinaia di monete.  Batara è il dio della ricchezza ed è marito, non a caso, di Dewi Sri, dea dell’agricoltura. Questi due dei hanno altari in ogni tempio domestico di ogni famiglia balinese, a costante memento che riso e benessere vanno a braccetto.


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