Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

martedì 13 novembre 2012

Alor, i giardini di corallo



un viaggio fatto qualche anno fa ma che mi evoca ancora emozione.

Sbucato dalle nuvole sopra le isole di Ternate e Buaya, il Fokker 50 turboelica compie una stretta virata a destra e sorvola la Testa d'Uccello, prima di tuffarsi bruscamente ed atterrare all'aeroporto semi deserto di Mali.

Siamo ad Alor, estremità orientale delle Nusa Tenggara Timur, la catena di isole ad est di Bali (v. box a lato). Alor è un'isola di grandi bellezze naturali e straordinario interesse antropologico. Il viaggio che ho intrapreso mi permetterà di scoprire scenari sottomarini incontaminati, popolati da miriadi di organismi tra i più diversi, peculiari e bizzarri. Una breve escursione all'interno darà modo di  osservare le produzioni agricole tradizionali, le case ancestrali e, al museo della capitale Kalabahi, oggetti di grande valore storico ed etnografico.

All'arrivo affittiamo un bemo rosso vivo, decorato dentro e fuori con scritte e forme gaie e bizzarre, che ci porta lentamente prima a Kalabahi, la capitale, e poi ad ovest fino al villaggio costiero di Alor Kecil. Qui una piroga a bilanciere ci sbarca sull'isoletta di Kepa, superando un corto braccio di mare reso insidioso da correnti di marea impetuose. In un angolo di Kepa si trovano diving center e homestay dove risiederemo durante il nostro breve soggiorno: un angolo di paradiso...a buon mercato (v. a lato i dettagli logistici). Kepa è non solo punto di partenza per escursioni subacquee di stupefacente bellezza, ma offre anche una serie di incantevoli spiagge di un nitore corallino, popolate solo da una discreta presenza di pescatori locali. Dalle spiagge si possono fare escursioni a nuoto fino ad una bassa area corallina o, facendo attenzione alla corrente, ad una brusca discesa di coralli, comoda platea per lo spettacolare passaggio di squali, tartarughe, mante e carangidi.

A Kepa s'assimila senza fatica l'atmosfera rilassata, semplice e cordiale che permea il luogo e i suoi abitanti. Gli alloggi sono semplici, quasi monastici, ma ben distribuiti lungo una bassa scogliera sul mare, con viste su un mare di tranquilla bellezza, vulcani lontani contornati di candide nubi, barche di pescatori che incrociano lungo l'orlo della barriera corallina. Chaise longue e amaca sono molto adatte alle lunghe ore d'ozio, lettura, scrittura o semplice fluire di pensieri, dopo il tempo dedicato alle immersioni o al nuoto.
 
Il bagliore, giallo e nitido, di un lume a petrolio ondeggia al limite della bassa marea. Due sagome scure, a malapena abbozzate dalla luce, si muovono silenziose e sicure tra i coralli affioranti. Il silenzio, fatto di suoni lievi, s'intreccia con i brevi richiami degli uomini. Echi di tuoni rimbalzano tra le isole. Il quieto richiamo del venerdì sera si scioglie sull'acqua, portato da una brezza che mescola a sé il pungente profumo di alghe bagnate.



Foreste di corallo

Scendiamo lentamente nell'azzurro liquido, verso ombre indistinte là in basso; poi, come girato un angolo o attraversato uno schermo, una sorta di armadio di Narnia, si apre alla vista un mondo incantato ed estraneo.

I raggi di sole che passano il sipario blu creano un'esplosione di forme di vita dalle infinite variazioni. La mente porta a cercare analogie con luoghi più noti e frequentati per non essere sopraffatta dal carattere francamente alieno di quello che ci circonda. E allora si attraversano foreste di corallo, praterie di anemoni, scarpate e valli profonde popolate di spugne giganti. I coralli a ventaglio sembrano larghe fronde ombrose che, invece che uccelli, ospitano e proteggono una miriade di pesci dai mille colori. Gli incontri, in questa giungla acquatica brulicante di vita, sono tanti ma, quel che più colpisce, è la visione d'insieme dell'ecosistema sottomarino, con le complesse relazioni tra organismi che lo declinano.
Il bagliore solare colpisce il fondo e incendia la distesa di anemoni di giallo, arancio, verde, marrone e tutte le possibili sfumature. I tentacoli sono fili d'erba che ondeggiano alla corrente, percorsi da pesci pagliaccio colorati.
Mimetismo e commensalismo regnano sovrani, a sancire la sovrabbondanza di spazi, stili di vita, tinte: una teoria senza fine di sovrapposizioni, di imitazioni, di appropriazione di corpi e forme altrui. Un aggrovigliarsi di destini che non lottano ma s'intrecciano nel possesso dello spazio e del cibo. Mors tua vita mea, l'imperativo di Gaia, emerge a forgiare linee di esistenza interdipendenti: un insegnamento assoluto.
Cattura, stringe a sé, abbraccia e poi seduce, ammalia fino a stordire, fino a desiderare di restare per sempre lì sotto ad ammirare, a perdersi nei meandri colorati e ipnotici.


Tour della 'Testa d'Uccello'

L'altopiano piatto 'testa d'uccello’ (kepala burung) forma una penisola che si connette col resto di Alor mediante un istmo. Una stretta strada, quasi sempre asfaltata, contorna la penisola: solo un piccolo pezzo della costa settentrionale, tra Bota e Batuputih, non è raggiungibile, per le ripide, bianche falesie che la fiancheggiano. Il periplo della testa d'uccello offre uno scorcio interessante di Alor, delle sue coste frastagliate, spiagge candide, campi di mais punteggiati da granai su palafitte, genti di pronta cordialità.
Mali, alla punta nordest dell'altopiano, oltre all'aeroporto, offre  belle spiagge dove nuotare e fare  snorkeling. A marea bassa una lingua di sabbia connette il 'continente' con la piccola isola di Sika, un luogo ricco di avifauna e di spiagge con acque limpide.
Affittato un motorino, si percorre la strada costiera verso nord ovest, da Alor Kecil fino a Kokar, tra palmizi e rade mangrovie. Un ponte è crollato per una breve e violenta inondazione, e il guado obbligato, tra grosse pietre ed acqua ruscellante, offre un primo guizzo d'avventura. A Kokar la strada s'inerpica verso le colline e diventa sempre più accidentata. Passiamo orti, campi di mais e bassi boschetti. Sull'altopiano la vista si apre su profonde vallate tra le cime, attorno cespugli intricati, siepi di convolvoli rosso fuoco ed erbe, che spesso si protendono a sbarrare il passo.
Nei villaggi poche case e pochissima gente in giro. I radi incontri ci avvicinano ad un popolo di grande comunicativa, pronto al saluto, anche se fuggevole, verso lo straniero che attraversa rapido i loro territori. Sempre un sorriso, spesso una mano levata, talvolta perfino un inchino. Il sorriso facilita la comunicazione, s'installa spontaneo e senza equivoci sui volti di questi contadini, là dove lingue tanto diverse coesistono.

Alor è un paradiso per l'etnolinguista, giacché qui sono parlati più di quindici lingue diverse, la gran parte del ceppo papuano, oltre all'Alorese, che è una lingua del ceppo malese-polinesiano.
La discesa verso Batuputih rivela una costa appoggiata a bianche pareti calcaree, che spesso giungono, a blocchi spezzati, fino in riva al mare. A Mali la strada, passato l'aeroporto, si snoda veloce quasi a lambire le lunghe spiagge di sabbia bianca, meta di villeggianti nel fine settimana.

La pioggia m'impedisce di raggiungere Monbang e Takpala, villaggi con alcune case tradizionali (rumah lopo) e dove si possono ancora osservare gli aloresi, vestiti con sarong dai motivi peculiari, ballare in cerchi stretti la danza lego-lego o i fieri guerrieri duellare protetti da alti scudi di legno.
La parte centrale della penisola, su un'altitudine di 700 metri è ricoperta da una foresta di kenari, la noce principale prodotto di esportazione di Alor, seguito dal tamarindo, anch'esso raccolto in questa area. Copra, chiodi di garofano, vaniglia e noce di areka sono coltivati nell'entroterra.

Kalabahi

Kalabahi è percorsa da un'unica grande arteria, sulla quale si affacciano gli edifici governativi e innumerevoli bazaar gestiti da cinesi. Qui si vende di tutto, dai calzini per neonati alle tubazioni in PVC, dalle taniche di plastica ai dolciumi. Sono antri scuri e misteriosi, con le merci ammucchiate ovunque e appese come festoni. Il proprietario cinese, da vero signore feudale, siede in posizione rialzata e centrale, da dove vede ogni angolo del negozio, anche il più buio, e controlla, indirizza, coordina e incassa, impassibile. Facce tonde, occhi ridotti a sottili fessure, scrutinano ogni cliente e soppesano in anticipo la propensione alla spesa.
Giovani uomini, in piedi o accosciati, stazionano davanti a questi negozi, al mercato, al porto. Facce scure, lineamenti negroidi, capelli crespi: emergono forti i tratti papuasici. E così si scopre che un sorriso, in questa parte dell'Arcipelago, illumina ancor di più i volti.
Il curatore apre solo per noi il museo, contenuto in un unico stanzone. Oltre ad un'interessante collezione di tamburi Moko, sono esposti alcuni begli ikat provenienti dai centri principali di tessitura (Alor Kecil, Ternate, Pura) e una congerie di strumenti d'uso agricolo e domestico, monili con conchiglie, acconciature, scudi di cuoio, fino ad alcune grosse scatole cinesi rivestite di pelle, adornate con cipree e dipinte con varie tonalità di rosso. I tamburi di bronzo, i Moko, sono parte dell'affascinante storia di quest'isola. Hanno la loro origine nell'area  Dongson, l'attuale Nord - Vietnam, e sono stati da almeno 2000 anni oggetto di commercio e collezione in Indocina, Cina e  Indonesia (vedi la 'Luna di Pejeng' a Bali e il tamburo di Selayar a Sulawesi). La loro presenza così numerosa ad Alor, tanto che se ne sono trovati a migliaia, è probabilmente legata al passaggio di navi di mercanti lungo la rotta verso Timor e le sue piantagioni di prezioso legno di sandalo. Nel XIX secolo il governo olandese arrivò a stimarne 200.000 ad Alor. Per nasconderne la consistenza degli stock, gli aloresi arrivarono a seppellirli in varie zone della parte centrale e meno accessibile dell'isola: luoghi di cui in seguito si perse nozione (da qui i rinvenimenti frequenti di moko, definiti “misteriosi”). Nella società alorese sono diventati uno status symbol e vengono accumulati dalle famiglie come beni legati alla dote e non più come mezzo di scambio per ottenere crani umani da utilizzare in rituali antichi. Il numero e la qualità dei moko scambiati in occasione di un matrimonio dipendono  dalla posizione sociale della sposa e non è insolito che il loro costo necessiti anni di lavoro per essere ripagato.

Rumah Lopo
La Rumah Lopo è la casa tradizionale dei Suku Abui (etnie indigene) aloresi, in particolare del villaggio di Takpala, ad Alor. Ogni Rumah Lopo è abitata da 13 capi famiglia ed è di due tipi: Kolwat e Kanuruat. La Rumah Kolwat è aperta a tutti gli abitanti del villaggio, anche a donne e bambini. A questi, al contrario, è fatto assoluto divieto di entrare nella Rumah Kanuruat; in caso di violazione, il trasgressore sarà colpito da malattia, la cui guarigione comporterà lo svolgimento di cerimonie tradizionali.
La Rumah Lopo è fatta di bambù, ha forma piramidale con un tetto di foglie di alang-alang, ed è sostenuta internamente da 6 pilastri ricavati da legno rosso.  Nella parte superiore vi è un ornamento a forma di braccia aperte in segno di benedizione alla richiesta dell'Onnipotente. La casa si sviluppa su tre piani: il piano inferiore funge da cucina e camera da letto, il secondo piano è utilizzato per stivare mais o altri prodotti alimentari e, quando è pieno, il cibo può essere conservato al terzo piano, che funge anche da magazzino.

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