Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

mercoledì 20 settembre 2017

La leva: la via balinese all'equilibrio

   Un’abbondante abluzione di acqua sacra, spruzzata su capo e viso, accoglie il visitatore che sale la breve rampa che porta al jaba tengah, lo spazio centrale del tempio Pura Puseh di Selumbung.
Un fuoco di grossi tronchi arde a destra del candi bentar, davanti ad una stuoia attrezzata con oggetti e liquidi legati ai butha kala, i “demoni” del pantheon balinese.

   La scenografia del grande spiazzo del tempio è imperniata su due larghi bale agung, tettoie rialzate che ospitano decine di pratima (le statuine strumento per l’adorazione del dio supremo) allineati su piccole portantine di bambù pronti per essere trasportati sulle spalle dai devoti scelti come medium. La fila di simboli sacri è ornata con altre statue di leoni e chimere e una miriade di offerte deposte su vassoi fioriti, abbellite con intrecci di foglie di palma e pandano, assemblate in forme artistiche.

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   I paesani, vestiti a festa, attratti dall'ombra, occupano le stuoie stese sotto le larghe tettoie ai lati della radura, ora calcinata dal sole.

   Note svogliate di gong e xilofoni accompagnano questi momenti preliminari, come un'accordatura di strumenti prepara orchestrali e pubblico alla rappresentazione. I rintocchi disordinati ancorano magicamente ad una melodia inconsapevole.

   E’ il momento dei bimbi, delle loro grida che salgono ancora libere prima della serietà adulta della trance.

   I medium, i prescelti dalla comunità al dialogo sonnambulo con il soprannaturale, accorrono con urla festose e agitare di kris. Premono su una soglia inesistente per sciamare nel tempio, impazienti di ricevere il permesso dei sacerdoti.

   Dopo comincia il caos organizzato. Un villaggio intero si dedica ad assistere e assecondare decine di medium che si lasciano trasportare dalla pervadente devozione lungo il sentiero dell’estasi. Alcuni si caricano sulle spalle un pratima e vagano rapiti e incantati al suono incalzante del gamelan. Altri brandiscono il kris e si muovono lenti in una danza ipnotica, per scoppiare in un’improvvisa frenesia autolesionistica, la lama battuta su braccia e schiena al ritmo ora incalzante dei gong. Carni lacerate dalle lame, fallita dimostrazione di possedere la grazia del dio. Sangue che sgorga e purifica un uomo e una famiglia o affranca un villaggio dagli alti e bassi di una stagione.

   Tra tutti Rangda, la strega, si muove erratica, quasi senza scopo, disorientata da tanta debordante spiritualità. A tratti sembra non riesca a farsi avanti verso l’entrata e a superare il muro compatto di effigi divine, in qualche modo potenziate dall'incarnazione dello spirito negli uomini in trance.


   Ed è da qui, dalla soglia del candi bentar, che si coglie un fremito nuovo nei devoti imbambolati. Un addensarsi di movimenti erratici, un agitare di kris. Rangda coglie il momento e ritrova l’urlo gutturale che è il suo marchio di fabbrica e che cancella per un attimo la melodia dell’orchestra. Sente, come un predatore, l’avvicinarsi del Barong e si ferma davanti alla soglia ad aspettarlo.

   Arriva il Barong con il suo corteo di devoti. E’ un Barong macam, la tigre, il corpo drappeggiato con un manto dai colori inconfondibili. Non fa a tempo a varcare la soglia che il suo medium piomba in una trance profonda e deve essere portato a braccia attorno allo spianata. La sua presenza impone un cambio di registro e la frenesia aumenta. Sempre più devoti si presentano davanti all'altare dei butha kala, danzando le donne, agitando kris gli uomini. E sempre più frequenti sono le aspersioni a terra dei liquidi per placare le presenza demoniache: toya anyar (acqua pura), tuak (vino di palma) ed arak (distillato di palma).


   Ogni portantina, oltre al medium, è sorretta da 5 o 6 aiutanti, lì ad evitare che il posseduto, con il suo kris, faccia del male a sé e ad altri nel suo muoversi inconsapevole. Talvolta il kris è serrato di traverso in bocca. Il pugnale è arma maschile e insieme evidente simbolo di genere. Taglia, penetra, affonda e ferisce, implacabile con la sua elsa seghettata. Ma è anche il ferro che l’uomo rivolge contro se stesso. E’ strumento per mettere alla prova il proprio spirito puro, attraverso la violazione del proprio corpo. Chi non subisce ferite dal ferro, o dalla vita, ha accolto il dio con convinzione. Rimane al riparo dalle influenze malevole che si aggirano per il mondo come Rangda si muove beffarda tra i fedeli. Quindi è a lei che si rivolgono i posseduti quando improvviso scatta il parossismo dell’autolesione. Le dimostrano con rabbia quanto siano immuni dalla sua influenza malvagia. Quanto siano in grado di camminare per il mondo in grazia della purezza infusa dal dio che hanno accolto dentro di sé e che in loro si è fatto carne.




   Il metodo balinese è questo: evocare in un unico potente evento la leva per raddrizzare quanto di storto c’è stato nell'anno appena trascorso. Un’unica occasione per riaffermare collettivamente la potenza della cosa giusta, della manifestazione divina che è in noi, riportando il timone sulla retta via in vista dell’anno che sta arrivando. Il tutto giostrato attorno ad un gruppo di donne e uomini (soprattutto uomini!) designato dalla comunità a rappresentarla in questo massiccio sforzo di riallineamento dell’equilibrio fisico/spirituale. Il mezzo scelto non è il dialogo diretto, la preghiera o la confessione privata, ma la trance. Lo stato alterato della coscienza modulato come una confessione pubblica per procura. Più sono i posseduti e più la comunità, che assiste al rito in forma di semplici spettatori, ne tra beneficio.



   Si potrebbe definire, cinicamente, una comoda forma di rappresentazione teatrale, dove gli attori sono designati a rappresentare la sublimazione dei temi fondamentali del viver comune e a risolverne gli intrecci nefasti. E dalla quale si esce tutti, attori e spettatori, intimamente rinfrancati.


   Ma tutto quello che capita in un assolato pomeriggio nel villaggio di Selumbung, è oltre il teatro. E’ rapimento, è coinvolgente miscela di stimoli che consegna nuovo equilibrio a questa comunità rurale. Sono i suoni insistenti dei gong e dei cembali, sono le urla gutturali dei posseduti, sono i fumi dei legni ardenti, sono le essenze delle offerte fiorite. E’ la luce nitida che disegna i volti estatici, è la coperta azzurra del cielo che ritaglia le silhouette dei torsi nudi rigati di sangue. Sono le smorfie e l’azzannare di maschere che rievocano l’eterno conflitto e invitano a risolverlo in un equilibrio.

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