Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

giovedì 31 dicembre 2020

La casa Dayak Benuaq

   

    In lingua Kutai ci si riferisce alle longhouse di questa parte Orientale del Kalimantan Indonesiano come rumah lamin o lou, come la chiamano i Dayak Benuaq.

    Quando ho visitato la Lou Pepas Eheng, pak Sius, al secolo Denisius, mi ha raccontato, oltre alle sue tristi vicende personali, anche molti aspetti dei simboli legati all’edificio e alcune notizie sulla comunità Benuaq che ci abita.

      La Lou Eheng è una palafitta lunga 74 metri e larga, in totale, oltre 30 m, con un'altezza di 3-4 metri. Poggia su una fitta rete di decine pali di ulin, legno ferro, di diametro diverso (i 13 principali, ricavati da tronchi interi, fino a 1 m), piantati fino a 1,5 m nel terreno, che mantengono il pavimento ad un’altezza anche di 2 metri da terra. Sotto il primo palo, piantato all’inizio della costruzione, anticamente si sotterrava la testa di un dayak ucciso in un raid apposito.

    Le pareti sono fatte di assi o corteccia, mentre il tetto è rivestito di tegole di legno. Il pavimento è formato da tavole di legno (nelle costruzioni più semplici, listelli di bambù).

    Attualmente vivono qui 12 capifamiglia di comune ascendenza, per un totale di quasi 40 persone. Solo pochi anni fa, racconta, erano 100 abitanti divisi in 32 famiglie.

    Se si devono aggiungere altre famiglie, la casa può aumentare in lunghezza. La lou è costituita da spazi abitativi, le stanze o orook, divisi da muri che separano una famiglia dall'altra e sono, in qualche modo, modulari. In ogni orook possono, anche temporaneamente, vivere più membri consanguinei della stessa famiglia, nonni, zii e cugini.

    Lo spazio davanti alle stanze è una area vuota longitudinale, lunga quanto la casa, utilizzata come luogo di ritrovo/lavoro, spazio per riunioni pubbliche (inuq) e per cerimonie tradizionali, dormitorio per i visitatori (stesi su stuoie intrecciate, o apai jaliq). Verso l’esterno comunica con un porticato per mezzo di una serie di porte dotate di scala (can) per scendere a terra, che si ripetono uguali dal lato interno e danno accesso alle orook. Sulla parte posteriore delle stanze si trovano le zone adibite a dispensa (lepubung) e cucina (jayung).


    Questa tipologia di abitazione tradizionale contiene in sé una varietà di significati, non solo come riparo, ma anche come rappresentazione del modo di pensare e di vivere dei Dayak Benuaq.

    Erigere una lou significa non solo dare forma ai valori “fisici” della protezione e della sicurezza domestica, ma anche fornire spazio adeguato alle attività culturali che esprimono i valori di unità, solidarietà, tolleranza, responsabilità verso sé stessi, la famiglia, la società, l'universo e la divinità. Infatti, forma e ripartizione degli spazi si rifanno alla cosmologia dei Benuaq e all'armonia della vita umana con l'universo. Una casa è l'incarnazione del processo della vita umana dalla nascita alla morte, una rappresentazione dei valori della famiglia, della solidarietà e cooperazione (in indonesiano gotong royong). Leggendo la struttura e l’organizzazione spaziale delle forme edilizie della lou è possibile analizzare la simbologia del mondo spirituale, di norme, credenze e filosofie della società Dayak Benuaq.

    Attualmente il villaggio di Eheng è composto da una longhouse, più altre case unifamiliari costruite intorno ad essa. I Benuaq sono animisti e credono in molti tipi di spiriti (wook) che si pensa vaghino per l'ambiente. Questi spiriti sono variamente associati con l'acqua, la foresta, gli alberi, il cielo, gli uccelli, la terra e il villaggio stesso. La maggior parte degli spiriti è benevola, se viene ricompensata dai beliant (sciamani) con offerte adeguate in occasione di rituali periodici chiamati guguq tautng o rituale del ”passaggio (durante) l'anno. Durante il guguq tautng, che può durare diverse settimane, gli spiriti che “risiedono” nella longhouse vengono invocati e appagati dagli sciamani, sia come ringraziamento per un anno favorevole o per cercare aiuto nel liberarsi dalle difficoltà causate, ad esempio, da un'epidemia, una pesante riduzione del raccolto o un attacco di parassiti alle coltivazioni. Questi spiriti, tuttavia, possono anche punire le persone che ignorano i costumi secolari del villaggio, o adat, facendole ammalare.

    In senso verticale, una lou consiste di tre piani: kolong (sotto), badan (corpo) e atap (tetto).

    La parte inferiore, kolong, con la sua rete di pali è utilizzata anche come deposito della legna da ardere, parcheggio veicoli, pascolo degli animali domestici (cani, maiali e galline), parco giochi dei bimbi. E’ lo spazio di passaggio tra ambiente circostante e abitazione.

    Il badan, la parte centrale, è l’insieme di spazi famigliari e sala comune (usoq), con tutti gli annessi ed attrezzature domestiche e associate al lavoro: femminile se si tratta di intrecciare il rattan per fare stuoie, borse o cesti; maschile se si parla di preparare il rattan o intagliare foderi per i mandau. La sala comune rappresenta lo spazio in cui le relazioni della comunità si fondono.

    L’atap, la parte superiore, è il luogo più sacro, assimilato alla divinità. È sostenuto da una rete di correnti di legno sungkai, leggero e resistente, a cui sono appesi vari oggetti, legati al culto e al sacro: una sorta di zattera intrecciata, luogo di meditazione; vari ciuffi di erbe secche, usate nei riti che coinvolgono gli spiriti, crani e corna di bufalo, residuo di sacrifici cerimoniali.


    In sezione orizzontale, la lou si distribuisce lungo un gradiente esterno/interno, che separa e protegge le zone più “intime” della singola famiglia dall’ambiente circostante attraverso spazi via via meno protetti: la scala di accesso (can), il portico (usoq), la sala comune, le camere da letto (bilik), la dispensa (lepubung) e la cucina (jayung).

    Davanti alle scale di entrata si trovano alcune statue di legno, che si chiamano belontakng. Pak Sius, quasi scusandosi, mi assicura che non sono oggetto di culto tra i Benauq. Poi, malizioso, aggiunge che sono state erette per ingannare gli spiriti maligni affinché non disturbino gli abitanti della casa. Ad esse si legano anche gli animali da sacrificare, bufali e maiali, in occasione di una cerimonia.


    Fumando l’ennesima sigaretta, Pak Sius si lamenta del ruolo del governo del Kutai Occidentale che presta poca attenzione a questa rumah lamin. E’ decisamente un cliché, visto che l’ho sentito spesso in Indonesia, lo stereotipo tipico del governo locale che non si prende cura di un luogo che, onestamente, ha grandi potenzialità per il turismo culturale.

    Mi alzo e mi congedo e non posso fare a meno di immaginare le schermaglie di potere dietro alla scelta di finanziare lo sviluppo turistico puntando su una o l’altra longhouse. Magari solo perché lì è nato uno dei signorotti del partito ora al potere.

    Un modo come altri per tenere la ricca cultura Dayak ai margini.

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