Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

mercoledì 17 novembre 2021

wayang kaca: dipingere su vetro

 
    Non deve sorprendere che in una società così devota all’espressione artistica in ogni sua piega, ci sia un villaggio nel quale si pratichi la pittura su vetro.

    Ho visitato la prima volta Nagasepaha, nel kabupaten di Buleleng, 12 anni fa, quando la tecnica di pittura wayang kaca era già consolidata e tramandata da decenni a due generazioni di suoi discendenti dal precursore I Ketut Negara, meglio conosciuto come Jero Dalang Diah.

    Jero Diah era, negli anni ‘20 del secolo scorso, un apprezzato dalang e intagliatore di marionette quando, nel 1927 Wayan Nitia, un collezionista di wayang kulit, comparve nel suo villaggio portando con sé dal Giappone un dipinto su vetro raffigurante una donna con indosso un kimono. Il visitatore era ansioso di ottenere da Diah un simile dipinto su vetro avente come soggetto la figura di una wayang kulit. A quel punto, la curiosità di Jro Dalang Diah fu stimolata e iniziò a studiare il dipinto su vetro, imparando la tecnica della pittura al contrario (perché il dipinto è visto dal lato non dipinto).

    Negli anni '80 Jero Dalang si era talmente migliorato da poter dipingere sia temi ripresi dalle grandi epopee indù Ramayana e Mahābhārata, in uno stile di disegno chiamato Kamasan. Sia temi nello stile Sukaraya giavanese. Infatti, originata nel XIV secolo nei Paesi Bassi, nel XIX secolo la pratica della pittura su vetro era stata portata a Giava, in particolare nelle corti di Cirebon, Surakarta, Yogyakarta, Demak e Madura, fino a Bengkulu, Palembang, Medan e Aceh a Sumatra. A quel tempo, il vetro era costoso e i dipinti su vetro, la maggior parte dei quali raffiguravano scene del Corano, erano oggetti di lusso riservati ai ricchi.

    Quando conobbi Jero Dalang Diah era seduto in un angolo della sua casa di fronte ad una finestra, vestito di un semplice sarong che metteva in risalto il suo corpo emaciato di ultra novantenne. Appesi al muro c'erano un certo numero di wayang kaca che aveva fatto lui stesso. Parlava a stento ed era aiutato da uno dei suoi nipoti, ai quali, dopo che al figlio I Ketut Sekar, aveva insegnato la nuova tecnica pittorica, rendendo così il villaggio un’icona nel mondo del collezionismo d’arte.

    Il padre tramandò al figlio la propria abilità nel creare wayang kulit, bade (la costruzione in carta e bambù che trasporta il morto per la cremazione) e addobbi per i templi.

    Girando per il villaggio avevo conosciuto sia pak Sekar che un suo figlio, entrambi pittori di wayang kaca. Colpito dalla bravura di pak Sekar gli commissionai un dipinto, poi faticosamente e meticolosamente trasportato in Italia.


    Ma furono i temi sociali, che vidi dipinti su vetri esposti sul pavimento della veranda della scuola elementare, a intrigarmi di più. Quadri come fumetti che parlavano di argomenti quotidiani come l’accesso alle spese mediche e scolastiche, le politiche sociali del governo locale e di quello centrale. Argomenti trattati con arguzia e sarcasmo, le armi dialettiche usate dai balinesi anche durante una rappresentazione di topeng o di wayang kulit: momenti collettivi che sono diventati importanti veicoli di un minimo di critica sociale e politica.

    Qualche tempo fa, la pittura wayang su vetro è stata ufficialmente registrata come patrimonio culturale immateriale indonesiano dal Ministero indonesiano dell'istruzione e della cultura e pak Sekar è stato più volte premiato per la sua arte.

    Qualche settimana fa sono ritornato, dopo molti anni, a Nagasepaha. In un fine mattina assolato e immoto, ho ripercorso la strada che si snoda sul bordo di una collina fino all’abitazione di pak Sekar. Poche persone si aggiravano per le stradine deserte del paese, alcune portando la mascherina d’obbligo. 

    Un pak Sekar ultrasettantenne e sua moglie ci hanno accolto un po’ straniti, stupiti che nel mezzo di tanto sconvolgimento per l’epidemia ci fossero ancora stranieri interessati alla sua arte. C’era nei suoi occhi il desiderio composto che hanno i balinesi versati nell’arte di vendere ciò che creano. E’ uno sguardo che mette malinconia per quel genere di speranza ammantata di rassegnazione che lascia trasparire.

    In un’anticamera polverosa e disordinata ci ha mostrato alcuni suoi quadri e wayang kulit, tolte da una vetrinetta dove riposavano affastellati e inconsapevoli del proprio carattere simbolico. In un canto stavano ammassate pelli di vacchetta, forse in attesa di nuovi ordinativi per marionette che tardano a venire. Forme che chissà in quale futuro getteranno ombre fluttuanti e seducenti su uno schermo ancora tutto da preparare.