Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

venerdì 29 aprile 2011

La barriera

Oggi è Pagerwesi, il “recinto di ferro”, un giorno importante per gli indù balinesi. E’ una festa sacra paragonabile al Galungan e al Kuningan, le più importanti cerimonie dell’anno lunare balinese, fatto di 210 giorni.
Il  giorno inizia con la devozione a Ida Sang Hyang Widhi, il Maestro Supremo (Hyang Pramesti Guru), nelle sue cinque manifestazioni (Panca Dewata). Una vita senza maestro significa assenza di guida, il che conduce inevitabilmente alla perdizione. Da qui la dedica principale al Maestro Unico, attraverso la purificazione e la meditazione che derivano dalla Sua guida spirituale. Il potere yogico che ne deriva è capace di rafforzare le barriere spirituali contro le infiltrazioni malevole.

Gli abitanti di quest’isola sono perfettamente consapevoli dell’intreccio senza fine tra bene e male nelle loro vite. Ogni giorno ed ogni azione evidenziano la necessità di un comportamento virtuoso e quali siano le forze immani che si oppongono ad esso.

Corruzione, violenza contro la natura e gli esseri che la popolano, irresponsabilità, anarchia sociale. Oggi le forze maligne che ghermiscono l’animo dei balinesi sono potenti e terrifiche, tanto come nel passato.

Sono sempre necessarie, al superstizioso balinese, le manifestazioni pubbliche nelle quali i comportamenti virtuosi sono ritualizzati e le richieste di benedizione ultraterrena, le offerte al pantheon indù per trarre benevolenza divina, sacrificano sugli altari domestici e collettivi la propria responsabilità civile e famigliare.

Il giorno del “recinto di ferro”, da erigere ciascuno contro il male, pager wesi in giavanese, è necessario per focalizzare l’attenzione su quali fortificazioni morali ciascuno mette in campo per combattere e respingere le pratiche non consone alla vita retta dalla virtù.

Ogni tempio domestico viene abbellito e ricoperto di offerte agli dei ed agli antenati. Particolari offerte sono riservate ai parenti morti e non ancora cremati, per alleviarne il limbo di instabilità prima del fuoco ristoratore e così farne altri baluardi futuri contro il male.

Case e templi, soprattutto nella parte nord di Bali, sono abbelliti con i penjor, alti festoni in bambu con la punta ricadente ornata con intricati intrecci di foglie policrome.

Pagerwesi è il culmine di un periodo sacro, breve ma intenso nel calendario balinese Pakuwon, iniziato con il giorno dedicato al culto di Saraswati, magnifica dea della conoscenza, della cultura e delle arti. Il primo giorno, Banyu Pinaruh, ci si dedica ai riti di purificazione personale con abluzioni nell’oceano. I pescatori fanno offerte per le barche e gli attrezzi da pesca. Il secondo giorno, Soma Ribek, sono fatte offerte nei granai, in onore di Dewi Bhatari Sri, la dea del riso e della fertilità. Il terzo giorno, Sabuh Emas, è dedicato alla benedizione di gioielli, oro e monete cinesi, preziose nelle offerte agli dei. Il ciclo si conclude con il cancello d’acciaio che blocca ogni infiltrazione malefica e tiene lontano, almeno per qualche tempo, il nostro lato oscuro, il niskala.

E’ un momento culmine della filosofia socio-religiosa balinese, in cui si rinsaldano i legami con i propri parenti e vicini, con la cultura e la conoscenza e con le fonti del proprio benessere (agricoltura e commercio). In tal senso nella parte settentrionale di Bali si pone l’accento sulla festa conviviale con la convinzione che saldi legami sociali sono una efficace barriera contro la disonestà che porta disaggregazione e adharma.

L'allenamento

Sul camion gli uomini sono sballottati contro i larghi fianchi dei due bufali, uno bianco ed uno color sabbia. Dalla sponda pendono i pezzi di un carro da corsa smontato. Il giogo leggero termina con sinuosi serpenti policromi dalla testa coronata. Gli occhi di uomini e bestie ancora riflettono gli sforzi e l’eccitazione della corsa appena terminata…

…zampe poderose percuotono affannate la sabbia. La coppia di bufali scatta sul sentiero di gara. Il fantino sottolinea le urla di incitamento con pesanti scudisciate sui quarti posteriori. Schizzi di sangue presto imbrattano il corto pelame, i chiodi si fanno strada attraverso il cuoio del dorso, che non sembra più così spesso. I pochi spettatori aggiungono le loro frustate a quelle del pilota, eccitati dal rischio della scommessa. Urla, commenti salaci, fumo nervoso di sigaretta, lo scudiscio dalle punte ferine appoggiato mollemente al gomito. Parte un’altra coppia, attenti! devia verso la risaia, il carro s’inclina su una ruota e ricade con un tonfo che si perde tra le grida…

Il campo di gara di Delod Berawah si allunga per quasi due chilometri attorno a piccole risaie. Viene percorso due volte in senso opposto e mette a dura prova la vita altrimenti tranquilla di questi bestioni.

L’allenamento è finito e uomini ed animali, stretti sul camion, sia avviano verso casa attraverso verdi campi di riso, orti e ciuffi di banani. I bufali salgono e scendono dal cassone con insospettata agilità, senza alcuna pedana e poco incitamento. Le grandi narici forate dalla corda s’aprono ancor di più, sotto gli occhi spalancati e bianchi di paura. Nonostante l’abitudine e la pratica settimanale i due animali, ancora giovani, sono agitati per il tragitto in camion e stanchi e infastiditi dalla pesante esercitazione. I fianchi si gonfiano d’un respiro caldo e rapido e qualche goccia di sangue cola ancora dalle larghe ferite inferte dal pungolo d’acciaio.

I bufali d’acqua asiatici sono d’indole tranquilla e docile, poco inclini ai rapidi e travolgenti movimenti dei loro cugini d’Africa. Farli correre a comando in gare in cui velocità, resistenza e obbedienza sono i criteri di giudizio non è impresa facile. E la frusta uncinata, nonostante lo spesso cuoio che ricopre i fianchi, fa male.

Solo i giovani vitelli che si rivelano sufficientemente pronti alla corsa e docili sono scelti ed avviati ad una esistenza per la maggior parte del tempo sedentaria. Legati sotto un grande albero di mango, protetti dalla feroce calura, nutriti con tenere erbe di campo, sono accompagnati al fiume due volte al giorno per le abluzioni.

Niente lavoro nelle risaie a tirare l’aratro immersi nel fango fino al ventre. Nessun carico da trasportare, tanto pesante da piegare anche le loro schiene possenti. Un altro fardello li attende, ben altri sforzi e dolori. Una corsa settimanale per abituarli alla sollecitazione intensa e disciplinarli al terreno di gara ed ai comandi del pilota. Le sferzate si fanno sempre più pesanti fino ai colpi a ripetizione di fine gara, che traggono fiotti di sangue e ogni goccia d’energia, uno scoppio di potenza e sovrumana resistenza.
Un giro vertiginoso di scommesse, a stento arginate dalle autorità, segue le prestazioni dei bufali. I migliori moltiplicano il loro valore nel giro di pochi anni e assicurano un comodo reddito al loro padrone.

Wayan, il proprietario dei due bufali latte e miele, assicura che non usa doparli, con un tono tale da far capire non più. Afferma che un bufalo drogato ha un’affidabilità e prontezza troppo aleatorie. Molto meglio ripiegare sulla sicura erba di campo, magari arricchita con le foglie giovani di certi cespugli che mi indica col capo.

Mi offre una noce di cocco e mi confida di aver venduto un bel po’ di mucche per acquistare i due giovani vitellini a 350 euro l’uno. Ora, già in grado di vincere gare, valgono cinque volte tanto.
Mi da appuntamento a settembre, c’è la coppa del governatore. E gli occhi brillano maliziosamente.