Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

venerdì 4 agosto 2017

Storie di un villaggio Lio (il racconto di Maria)

    La Sa’o Ria di Jopu è l’unica casa tradizionale ad essere rimasta integra nel villaggio. I Lio delle pendici del vulcano Kelimutu si riuniscono ancora sullo spiazzo antistante la ‘casa alta’ in occasione delle due cerimonie che celebrano il legame con la terra, prima della semina e prima del raccolto. Gli anziani della comunità, i mosalaki, si ritirano nella grande casa e celebrano i riti ancestrali nell'atmosfera fumosa, sotto l’alto tetto da cui pendono i vassoi intrecciati su cui sono poste le offerte agli dei.

   Maria, precisa e smagliante, mi introduce tra le credenze e i miti dei Lio e condivide con trasporto anche le vicende dei suoi padri. Questo è il suo racconto.

Le genti di Jopu sono divise in 7 suku. Si tengono due cerimonie principali (nggua), legate alla coltivazione del riso: una prima della semina e l’altra prima del raccolto. La prima è rivolta al dio della pioggia, la seconda al dio del sole.
Tra settembre e ottobre centinaia di persone si raccolgono davanti alla Sa’o Ria per eseguire la danza rituale che si chiama gawi. I mosalaki si appartano all'interno della casa assieme alle loro mogli (fai ngga’é). Vengono sacrificati i bufali e la loro carne è cucinata dai mosalaki sul focolare ad essi destinato. Solo i maschi possono cucinare la carne. Le donne cucinano il riso sul focolare accanto. Il cibo così preparato viene distribuito a tutti i membri dei sette suku. Una parte viene posta sul vassoio intrecciato che pende al centro della ‘casa alta’. E’ l’offerta fatta al dio della pioggia affinché l’acqua scenda abbondante e faccia crescere immediatamente le piantine appena messe a dimora. Fatto questo, tutti possono danzare il gawi, formando sette cerchi concentrici e muovendosi lentamente.

Alla fine della stagione delle piogge, quando torna a splendere il sole e le spighe si gonfiano, è il momento della seconda cerimonia. Solo maiali sono sacrificati, in numero sufficiente per sfamare tutti i membri della comunità. Solo i mosalaki possono cucinare la carne di maiale, mentre le donne cucinano il riso. Nel villaggio vivono anche famiglie di fratelli musulmani e quindi i mosalaki allestiscono un focolare separato dove cucinano alcuni polli, sacrificati apposta per loro. Questo rinsalda il legame all'interno dei suku. Una parte del cibo è offerta al dio del sole e posta su un piccolo cesto appeso sopra l’angolo posteriore destro della stanza. Si prega che il sole splenda invitto e faccia maturare le spighe. I membri dei suku iniziano, all'esterno, la danza rituale.





La scelta del ria bewa, il capo tra i mosalaki. Solo il primogenito di ogni generazione può diventare capo. A Jopu è da 14 generazioni che il capo viene scelto con questo sistema. Il bambino appena nato, quando ha due settimane, viene lasciato solo sulla loggetta che sta sopra il focolare femminile. Se dopo pochi minuti piange, allora sarà destinato a diventare il ria bewa. Se non piange, deve essere sottoposto ad altre prove. Un pollo è sacrificato e un pezzo del suo fegato crudo viene appoggiato alle labbra del bambino. Se piange, è segno che diventerà il capo. Se lo succhia e mostra di apprezzarlo, dovrà seguire un’altra prova. La madre lo porta con sé a fare tre giri attorno alla Sa’o Ria. Poi, nel retro della casa, appoggia la fronte del piccolo ad un tronco di banano preparato apposta. Se il bimbo piange, allora diventerà il capo. Se ancora non piange, non ne è degno e viene allontanato dal suku e mandato a vivere in un altro suku. In tal caso la prova si ripete col secondogenito.”

giovedì 3 agosto 2017

La migrazione dei Barong

   Testa piccola e zannuta su grande corpo peloso. Una caratteristica andatura disarticolata e ondeggiante, scandita dal battere ritmato di mascella e mandibola. Il Barong è l’essere misterioso e familiare che tutti conoscono come protagonista di una lotta senza tempo contro Rangda, la strega.        

   Un conflitto condotto sul filo di posizioni figurate, grandi balzi e sguardi belluini, se visto in occasione di una delle tante rappresentazioni che si tengono al tempio. Una contesa universale, sublimata in pochi gesti teatrali, ma intimamente legata alla vita di tutti i giorni, nella Bali antica come in quella d’oggi.


   Forse nipote del drago cinese, certamente simbolo di un legame profondo con la natura e i luoghi della Bali agricola, un tempo ammantata di foreste oscure che incutevano timore e rispetto tra gli isolani.

   Da qui, forse, dal contraddittorio sentimento che la natura ispirò nei primi indigeni, attaccati da animali selvatici e fiaccati da malattie, dalla necessità delle piccole comunità agricole di adottare opportune relazioni rituali con le presenze niskala delle regioni montane, deriva il simbolo del Barong. Creatura mitica fortemente legata alla terra, associata ad un villaggio ed al suo territorio, che pattuglia continuamente e protegge dall'intrusione di influenze aliene e potenzialmente pericolose.

   I Barong sono simboli che si muovono periodicamente da una regione all'altra della Bali rurale, sottoposti ad una sorta di stagione migratoria durante la quale si “esibiscono” nelle cerimonie del tempio di villaggi contigui. Queste reciproche visite possono avere vesta ancor più ieratica quando al Barong si uniscono in processione degli oggetti più sacri del tempio d’origine, pretima. E’ il caso di villaggi che fanno capo ad uno stesso clan progenitore e che afferiscono ad una ampia e ben definita porzione di fertile terreno agricolo, o banua, e che dipendono da divinità ancestrali che trovano dimora nel tempio principale, o pura banua.

   E' attraverso queste visite che si possono, ad esempio, tracciare gli antichi collegamenti rituali tra i villaggi contemporanei della valle del fiume Wos, a nord di Ubud, una delle aree rurali più belle di Bali e dove per primo s’insediò il saggio Rsi Markandeya, durante la prima mitica “colonizzazione” di Bali ad opera dei giavanesi.



   In occasione dell’odalan del Pura Jemeng di Sebali, oltre ai tre barong che appartengono ai templi locali, ne arrivano altri da Keliki, Lungsiakan, Ubud e Bentuyung. Allo stesso modo, reciprocamente, il Barong residente di Pura Jemeng partecipa sia agli odalan dei templi di origine di tutti quei Barong sia si recano al tempio Pura Gunung Lebah, il luogo sacro che si trova nella gola di Campuan, alle porte di Ubud. Keliki è subito a monte di Sebali, con cui ha stretti legami storici. Alcuni di questi Barong viaggiano, insieme ad altri della zona, fino al Pura Sabang Dahat, in cima ad una bassa altura poco sopra il piccolo villaggio di Puakan. Qui, in occasione del Manis Galungan, si presentano molti Barong, per lo più provenienti dall'area di Taro e del Gunung Lebah. Dopo una breve cerimonia e la benedizione rituale, ritornano verso valle facendo tappa e breve visita agli altri templi che si trovano lungo il cammino. 


   E’ un periodo intenso e l’intera regione è percorsa per almeno un mese da processioni festose e colorate, capeggiate da grandi Barong portati a spalla o in camion da gruppi festosi di giovani.