Una giornata di cerimonie singolari,
qualche giorno fa, in tutta Bali. Era il giorno del tumpek kandang, che si potrebbe rendere con il sabato nel recinto (da tempak , sabato in javanese antico, e
kandang, gabbia o recinto in
balinese). E’ un’occasione importante,
un abbraccio consapevole e rispettoso al Signore Yang Maha Esa, il dio
onnipotente, nelle manifestazioni di Siva e Puspati, che ha creato la vita sulla
terra e, attraverso le piante e gli animali, sostiene le popolazioni umane. Il
"Signore del bestiame" pre-ario (Paśupati), diviene nei Veda
"Urlatore" (Rudra) e dio degli animali sacrificati, riverito poi col
nome di Shiva. Armato di arco vaga da solo tra le montagne, custodendo le
greggi.
Soprattutto
gli animali sono onorati durante questo sabato, per il ruolo di sostenitori del
lavoro nei campi e dall’intera comunità, come fonte pregiata di cibo. Non c’è
ipocrisia nell’amore, rispetto e devozione che i balinesi riservano ai loro
animali e, attraverso essi, al dio. Qui gli animali sono fatti per essere
addomesticati e fornire cibo e sicurezza, lavoro e sacrificio, senza indulgere
in falsi tabù o reclamare animalismi innaturali. E’ un rispetto verso il
creato, uno stimolo a ricordare il ruolo che gioca la natura nel sostenere
l’uomo che, a sua volta, deve tenerla nella giusta considerazione.
Potremmo
definirle delle pie illusioni, visto come il balinese medio si comporta nei
confronti dell’ambiente naturale che lo
circonda. Influenza aviaria, rabbia, scarse iniziative in capo al riciclaggio
dei rifiuti, l’acqua sperperata senza ritegno (più di 70 torrenti in secca negli
ultimi anni), la dengue che si diffonde senza nessuna contromisura in campo, la
cementificazione dispensata a piene mani sacrifica al potente dio del turismo
migliaia di ettari di risaie. E’ un bollettino di guerra che parla più degli
effetti devastanti di uno sviluppo economico e turistico impetuoso e senza
argini, che di un’armonia ricercata con devozione tra uomo e natura, uomo e
mondo animale.
Sembra
proprio che il motto cardine della filosofia sociale balinese, Tri Hita Karana,
cioè la triplice relazione su cui si basa la società agricola isolana, il
rapporto col dio, col prossimo e con la natura, stia perdendo uno dei cardini, fiaccato
da siccità, epidemie, e menti inaridita perché corrotte dal denaro. La coesione
sociale è stata per secoli favorita da una colla potente, la proprietà comune
della terra, una sorta di socialismo ante litteram, perfettamente funzionante
in una nazione di contadini ed elite politico religiose, rigidamente suddivise
in caste.
Ora
i capitali stranieri sono riusciti a spezzare i legami ancestrali, immettendo
velocità inusuale nelle lente decisioni di un popolo non uso a risolvere in fretta
le questioni. Molti complessi alberghieri sono costruiti violando leggi
precise, ma i governanti balinesi non riescono mai a prendere una decisione
drastica e porre fine alla cementificazione della loro terra.
Però
i contadini continuano, in questo giorno di devozione, ad agghindare il loro maiali
con sarong colorati e le corna del bestiame con coni di foglie di palma
intrecciate, ma lo spirito appare sempre più cristallizzato, sempre più una manifestazione
di un grande museo antropologico all’aria aperta, mantenuto affinchè attiri
sempre più curiosi e visitatori. Così, a poco a poco, sparirà anche Puspati e
Shiva si ritirerà, sdegnato, ben più lontano dell’Olimpo.
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