Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

lunedì 18 ottobre 2021

I Bali Mula: Bayung Gede e la madre foresta

 


Bayung Gede è un villaggio che racchiude in sé una storia antica e una socialità tra le più originali ed arcaiche tra quelle che abitano l’isola Bali.

Gli storici sono concordi nell’affermare che Bali, in epoca storica e certo prima del IX secolo, fu abitata da società già stratificate ed organizzate, principalmente in alcune aree montane e densamente forestate, nella regione racchiusa dai fiumi Pakrisan e Petanu dove si praticava un’agricoltura irrigata, ed in alcune aree costiere dove il commercio con le isole vicine era particolarmente attivo.

Queste comunità, di tipo Austronesiano, in specie quelle montane che mantenevano scarsi collegamenti con la costa, sono oggi considerate “autoctone” e in possesso di un’organizzazione sociale e religiosa in qualche modo indipendenti da quelle di altri gruppi, pur rientrando nella grande “indianizzazione” dell’Indonesia, probabilmente iniziata gradualmente nei primi secoli dopo Cristo.

Questa indianizzazione si sovrappose, assorbendole, alle credenze specifiche dei Balinesi “autoctoni”, nate dalla ritualizzazione della loro collocazione geografica e legate ai benefici apportati dall’ecosistema originato dal semicerchio di vulcani, e la conseguente abbondanza di pioggia e terreni fertili.

L’organizzazione sociale arrivata con l’induismo si integrò alla religione “animistico-spaziale” locale che vedeva nell’asse montagna/mare (kaja-kelod) e alba/tramonto del sole (kangin-kahu) il fondamento della vita, riflesso nel macrocosmo che gli abitanti avevano creato. Ne emerse una prima forma di induismo, dai tratti arcaici, successivamente riformata, in ultima istanza dall’influenza Majapahit, fino ad assumere le caratteristiche che oggi contraddistinguono gran parte delle comunità religiose isolane.

Solo in alcune aree limitate sopravvivono scampoli di pratiche religiose e organizzazioni sociali che potremmo definire di induismo primitivo, limitate a quelle comunità che anticamente abitavano le zone centrali di Bali.

Una di queste comunità vive a Bayung Gede. Tra i tratti che la distinguono c’è il mito della propria origine, la suddivisione dei compiti nella gestione della collettività e la singolare pratica che a ha che fare con la placenta di un nuovo nato.

Gli abitanti di Bayung Gede credono che i loro antenati abbiano avuto origine dai ceppi degli alberi tagliati, riportati in vita con la tirta kamandalu (che è l'acqua della vita prodotta dal dio Brahma) aspersa da Hanoman, la scimmia bianca, discepolo del dio Betara Bayu (la divinità che governa il vento). Un mito che contiene in nuce l’ecologia umana di un popolo legato alla natura isolana e il messaggio che si deve sempre rispettare l'universo (Bhuana Agung) e la natura come una madre amorevole che partorisce e si prende cura degli esseri umani. Ne deriva una profonda considerazione che la collettività ha per le foreste attorno al villaggio, da cui trae da millenni sostentamento e che è obbligata a preservare.

Stante la loro provenienza dal legno, quando nasce un neonato il suo simbolo, qui detto Catur Sanak, o il “fratellino”, che lo avvolgeva e proteggeva nel grembo materno, deve ritornare al legno. Questa convinzione si manifesta nel rituale di inserire la placenta dentro una noce di cocco e di appenderla ad un albero designato, il pohon bukak (Tabernaemontana macrocarpa ?), che cresce in un’area boschiva protetta, chiamata Setra Ari-ari (il cimitero delle placente).



L’intero processo di sospensione della placenta è piuttosto complicato. Innanzitutto, la placenta deve essere lavata e pulita il più possibile e così la noce di cocco (kau), poi tagliata in due parti. Sul guscio superiore viene tracciato il simbolo Ongkara ().


I famigliari spesso inseriscono nell’involucro vari ingredienti: cenere, anget-anget (coriandolo, mesui, noce moscata e chiodi di garofano) e tengeh (curcuma mescolata a calce). Il guscio viene richiuso, la sutura sigillata con calce e il tutto viene avvolto stretto con legacci fatti di fibre di bambu (salang tabu).

La funzione è fare in modo che il “fratellino” rimanga in un ambiente protetto, fragrante, caldo, e il bambino cresca in modo appropriato.

Il padre del neonato porta la noce di cocco al setra ari-ari che si trova in un bosco a valle del villaggio (in posizione kelod), con un falcetto al fianco (tah).



L’involucro con la placenta viene appeso ad un ramo scelto dell’albero bukak e il padre raccoglie qualche foglia di felce prima di rientrare a casa: una volta appesa fuori della soglia informerà tutti dell’avvenuta nascita e sospensione della placenta. I fiori dell'albero bukak contengono oli essenziali che svolgono un ruolo importante nell'assorbimento dei cattivi odori. Anche le foglie sono utilizzate per avvolgere cose nelle cerimonie Dewa Yadnya e come protezione dei genitali nella preparazione di una salma per la sepoltura.

Questo mito contiene credenze cosmologiche sulla nascita e la morte e sul tema della reincarnazione. L’albero bukak, la foresta, diviene il simbolo della madre niskala di Catur Sanak: ad essa il “fratellino” deve fare ritorno e “reincarnarsi” per completare il ciclo della vita.

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