Il giorno prima della Pasola, la grande battaglia rituale di
Sumba, la casa di Thomas si riempie di gente. La zona del grande focolare
centrale e dei lavori domestici si popola di donne che cucinano, chiacchierano
e masticano betel. I maschi se ne stanno seduti davanti, fumano e guardano il
vento. La popolazione di bambini s’impenna e mocciosi sporchi e nudi si
spingono ovunque tra le verande di bambù e le tombe, pancia gonfia e ombelico
sporgente. Giocano, ridono, s’azzuffano. La grande casa, la uma patana, si gode questa rinascita annuale
e oggi non è solo il vento che fa cigolare e ondeggiare i grossi tronchi di
bambù dei pavimenti, ma piedi a decine che ne calpestano ogni angolo.
L’allineamento del bambù è volutamente
imperfetto in modo da favorire la pulizia: tutto deve cadere di sotto, polvere,
detriti, ossa di pollo, cartacce, riso sfuggito dal piatto, liquidi, sputi,
sbavate rosse di betel. Là sotto, a due metri dal pavimento, vive una comunità
di animali che ricicla tutto, polli, maiali, capre, cani.
Il Rato Nyale, bocca vermiglio piena di
betel, è l’anziano che sorveglia l’applicazione esatta dei rituali che
precedono la Pasola. Oggi si concede fiero alla necessità della foto. S’aggiusta
la fascia ai fianchi, si drappeggia la borsa col betel, s’infila il parang al fianco e si mette in posa.
Alcuni giovani, più in là, tolgono le
erbacce dalla tomba del nonno. Le tombe sono tutt’intorno alle case, le
avvolgono, le cingono in un abbraccio che non è solo necessità ma è l’essenza
del rispetto dato alla conoscenza che proviene degli antenati. La vita attuale
è possibile solo per il passaggio fluido e ininterrotto della storia parlata,
delle risposte a tutte le domande che gli avi hanno già ricavato nei secoli. La
casa vivente dialoga con la “casa morta”,
in un intreccio intimo e quotidiano. Si dice che le tombe devono essere
costruite sul davanti della casa, così da avere i propri morti a portata di
mano.
Due alte pietre di arenaria, parallele
come menhir, tratte dalle cave qui vicino in spiaggia, scolpite lievemente con
motivi geometrici e corna di bufalo, abbelliscono il loculo di un Rato. Due bimbi
fanno correre i loro copertoni lucidi di pioggia con abili tocchi di bastone. Quattro
maialini neri, disturbati, schiamazzano via dal sentiero fangoso. Un cavallino
baio agita il sonaglio mentre bruca senza pausa l’erba del prato.
La notte del nyale, la notte prima della Pasola, è notte magica. Le famiglie si
riuniscono vocianti sotto un solo tetto, alto come il cappello di un mago. Si parla,
si cucina, si mangia, si fuma, si spettegola. E’ la notte delle tentazioni, e i
giovani s’aggirano irrequieti tra le tombe, occhi che mandano lampi, chi cerca
e chi si fa cercare. E’ la notte in cui le coppie si formano, furtive e veloci.
E’ la notte dei vincoli saldi e delle storie spezzate.
E’ la notte dei capifamiglia che parlano
la lingua dei propri avi, comunicano ai giovani, bimbi, donne, una sapienza che
unisce, una conoscenza che rafforza la tradizione e la fa vita concreta. Il vecchio
Isaac mi sussurra queste cose e mi spiega quanto forti e necessari sono questi
fili che intrecciano e rinsaldano le relazioni personali e quanto orgoglio
provano a condividere con l’ospite l’atmosfera feconda di questa nottata.
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