un viaggio fatto qualche anno fa ma che mi evoca ancora emozione.
Sbucato dalle nuvole sopra le isole di
Ternate e Buaya, il Fokker 50 turboelica compie una stretta virata a destra e
sorvola la Testa d'Uccello, prima di tuffarsi bruscamente ed atterrare
all'aeroporto semi deserto di Mali.
Siamo ad Alor, estremità orientale delle Nusa Tenggara
Timur, la catena di isole ad est di Bali (v. box a lato). Alor è un'isola di
grandi bellezze naturali e straordinario interesse antropologico. Il viaggio
che ho intrapreso mi permetterà di scoprire scenari sottomarini incontaminati,
popolati da miriadi di organismi tra i più diversi, peculiari e bizzarri. Una
breve escursione all'interno darà modo di
osservare le produzioni agricole tradizionali, le case ancestrali e, al
museo della capitale Kalabahi, oggetti di grande valore storico ed etnografico.
All'arrivo
affittiamo un bemo rosso vivo, decorato dentro e fuori con scritte e forme gaie
e bizzarre, che ci porta lentamente prima a Kalabahi, la capitale, e poi ad
ovest fino al villaggio costiero di Alor Kecil. Qui una piroga a bilanciere ci
sbarca sull'isoletta di Kepa, superando un corto braccio di mare reso insidioso
da correnti di marea impetuose. In un angolo di Kepa si trovano diving center e
homestay dove risiederemo durante il nostro breve soggiorno: un angolo di
paradiso...a buon mercato (v. a lato i dettagli logistici). Kepa è non solo
punto di partenza per escursioni subacquee di stupefacente bellezza, ma offre
anche una serie di incantevoli spiagge di un nitore corallino, popolate solo da
una discreta presenza di pescatori locali. Dalle spiagge si possono fare
escursioni a nuoto fino ad una bassa area corallina o, facendo attenzione alla
corrente, ad una brusca discesa di coralli, comoda platea per lo spettacolare
passaggio di squali, tartarughe, mante e carangidi.
A
Kepa s'assimila senza fatica l'atmosfera rilassata, semplice e cordiale che
permea il luogo e i suoi abitanti. Gli alloggi sono semplici, quasi monastici,
ma ben distribuiti lungo una bassa scogliera sul mare, con viste su un mare di
tranquilla bellezza, vulcani lontani contornati di candide nubi, barche di
pescatori che incrociano lungo l'orlo della barriera corallina. Chaise longue e
amaca sono molto adatte alle lunghe ore d'ozio, lettura, scrittura o semplice
fluire di pensieri, dopo il tempo dedicato alle immersioni o al nuoto.
Il bagliore, giallo e nitido, di un
lume a petrolio ondeggia al limite della bassa marea. Due sagome scure, a
malapena abbozzate dalla luce, si muovono silenziose e sicure tra i coralli
affioranti. Il silenzio, fatto di suoni lievi, s'intreccia con i brevi richiami
degli uomini. Echi di tuoni rimbalzano tra le isole. Il quieto richiamo del
venerdì sera si scioglie sull'acqua, portato da una brezza che mescola a sé il
pungente profumo di alghe bagnate.
Foreste di corallo
Scendiamo lentamente nell'azzurro
liquido, verso ombre indistinte là in basso; poi, come girato un angolo o
attraversato uno schermo, una sorta di armadio di Narnia, si apre alla vista un
mondo incantato ed estraneo.
I
raggi di sole che passano il sipario blu creano
un'esplosione di forme di vita dalle infinite variazioni. La mente porta a
cercare analogie con luoghi più noti e frequentati per non essere sopraffatta
dal carattere francamente alieno di quello che ci circonda. E allora si
attraversano foreste di corallo, praterie di anemoni, scarpate e valli profonde
popolate di spugne giganti. I coralli a ventaglio sembrano larghe fronde
ombrose che, invece che uccelli, ospitano e proteggono una miriade di pesci dai
mille colori. Gli incontri, in questa giungla acquatica brulicante di vita,
sono tanti ma, quel che più colpisce, è la visione d'insieme dell'ecosistema
sottomarino, con le complesse relazioni tra organismi che lo declinano.
Il bagliore solare colpisce il fondo e incendia la distesa
di anemoni di giallo, arancio, verde, marrone e tutte le possibili sfumature. I
tentacoli sono fili d'erba che ondeggiano alla corrente, percorsi da pesci pagliaccio colorati.
Mimetismo e commensalismo regnano sovrani, a sancire la
sovrabbondanza di spazi, stili di vita, tinte: una teoria senza fine di
sovrapposizioni, di imitazioni, di appropriazione di corpi e forme altrui. Un
aggrovigliarsi di destini che non lottano ma s'intrecciano nel possesso dello
spazio e del cibo. Mors tua vita mea, l'imperativo di Gaia, emerge a
forgiare linee di esistenza interdipendenti: un insegnamento assoluto.
Cattura, stringe a sé, abbraccia e poi seduce, ammalia fino
a stordire, fino a desiderare di restare per sempre lì sotto ad ammirare, a
perdersi nei meandri colorati e ipnotici.
Tour della 'Testa d'Uccello'
L'altopiano piatto 'testa d'uccello’ (kepala burung) forma
una penisola che si connette col resto di Alor mediante un istmo. Una stretta
strada, quasi sempre asfaltata, contorna la penisola: solo un piccolo pezzo
della costa settentrionale, tra Bota e Batuputih, non è raggiungibile, per le
ripide, bianche falesie che la fiancheggiano. Il periplo della testa d'uccello
offre uno scorcio interessante di Alor, delle sue coste frastagliate, spiagge
candide, campi di mais punteggiati da granai su palafitte, genti di pronta
cordialità.
Mali, alla punta nordest dell'altopiano, oltre
all'aeroporto, offre belle spiagge dove
nuotare e fare snorkeling. A marea bassa
una lingua di sabbia connette il 'continente' con la piccola isola di Sika, un
luogo ricco di avifauna e di spiagge con acque limpide.
Affittato un motorino, si percorre la strada costiera verso
nord ovest, da Alor Kecil fino a Kokar, tra palmizi e rade mangrovie. Un ponte
è crollato per una breve e violenta inondazione, e il guado obbligato, tra
grosse pietre ed acqua ruscellante, offre un primo guizzo d'avventura. A Kokar
la strada s'inerpica verso le colline e diventa sempre più accidentata.
Passiamo orti, campi di mais e bassi boschetti. Sull'altopiano la vista si apre
su profonde vallate tra le cime, attorno cespugli intricati, siepi di
convolvoli rosso fuoco ed erbe, che spesso si protendono a sbarrare il passo.
Nei villaggi poche case e pochissima gente in giro. I radi
incontri ci avvicinano ad un popolo di grande comunicativa, pronto al saluto,
anche se fuggevole, verso lo straniero che attraversa rapido i loro territori.
Sempre un sorriso, spesso una mano levata, talvolta perfino un inchino. Il
sorriso facilita la comunicazione, s'installa spontaneo e senza equivoci sui
volti di questi contadini, là dove lingue tanto diverse coesistono.
Alor è un paradiso per l'etnolinguista, giacché qui sono
parlati più di quindici lingue diverse, la gran parte del ceppo papuano, oltre
all'Alorese, che è una lingua del ceppo malese-polinesiano.
La discesa verso Batuputih rivela una costa appoggiata a
bianche pareti calcaree, che spesso giungono, a blocchi spezzati, fino in riva
al mare. A Mali la strada, passato l'aeroporto, si snoda veloce quasi a lambire
le lunghe spiagge di sabbia bianca, meta di villeggianti nel fine settimana.
La pioggia m'impedisce di raggiungere Monbang e Takpala,
villaggi con alcune case tradizionali (rumah
lopo) e dove si possono ancora osservare gli aloresi, vestiti con sarong
dai motivi peculiari, ballare in cerchi stretti la danza lego-lego o i fieri
guerrieri duellare protetti da alti scudi di legno.
La parte centrale della penisola, su un'altitudine di 700
metri è ricoperta da una foresta di kenari, la noce principale prodotto di esportazione
di Alor, seguito dal tamarindo, anch'esso raccolto in questa area. Copra,
chiodi di garofano, vaniglia e noce di areka sono coltivati nell'entroterra.
Kalabahi
Kalabahi
è percorsa da un'unica grande arteria, sulla quale si affacciano gli edifici
governativi e innumerevoli bazaar gestiti da cinesi. Qui si vende di tutto, dai
calzini per neonati alle tubazioni in PVC, dalle taniche di plastica ai
dolciumi. Sono antri scuri e misteriosi, con le merci ammucchiate ovunque e
appese come festoni. Il proprietario cinese, da vero signore feudale, siede in
posizione rialzata e centrale, da dove vede ogni angolo del negozio, anche il
più buio, e controlla, indirizza, coordina e incassa, impassibile. Facce tonde,
occhi ridotti a sottili fessure, scrutinano ogni cliente e soppesano in
anticipo la propensione alla spesa.
Giovani uomini, in piedi o accosciati, stazionano davanti a
questi negozi, al mercato, al porto. Facce scure, lineamenti negroidi, capelli
crespi: emergono forti i tratti papuasici. E così si scopre che un sorriso, in
questa parte dell'Arcipelago, illumina ancor di più i volti.
Rumah Lopo
La Rumah Lopo è
la casa tradizionale dei Suku Abui (etnie indigene) aloresi, in particolare del
villaggio di Takpala, ad Alor. Ogni Rumah Lopo è abitata da 13 capi famiglia ed
è di due tipi: Kolwat e Kanuruat. La Rumah Kolwat è aperta a tutti gli abitanti del
villaggio, anche a donne e bambini. A questi, al contrario, è fatto assoluto
divieto di entrare nella Rumah Kanuruat; in caso di violazione, il trasgressore
sarà colpito da malattia, la cui guarigione comporterà lo svolgimento di
cerimonie tradizionali.
La Rumah Lopo è fatta di bambù, ha forma piramidale con
un tetto di foglie di alang-alang, ed è sostenuta internamente da 6 pilastri
ricavati da legno rosso. Nella parte
superiore vi è un ornamento a forma di braccia aperte in segno di benedizione
alla richiesta dell'Onnipotente. La casa si sviluppa su tre piani: il piano
inferiore funge da cucina e camera da letto, il secondo piano è utilizzato per
stivare mais o altri prodotti alimentari e, quando è pieno, il cibo può essere conservato al terzo piano, che funge anche da
magazzino.
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