Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

domenica 20 marzo 2011

Il mercato

In Indonesia decine di migliaia di mercatini rionali, pasar, a Bali legati al banjar, unità sociale simile al quartiere, forniscono la popolazione di merci e generi alimentari. Qui si trova di che far vivere una famiglia, cibi, vestiti, detersivi, attrezzi per la pulizia della casa, DVD con karaoke e piatti pronti per i pasti fuori, o dentro, casa.

Quello più vicino a noi è nel banjar di Basangkasa, proprio sulla curva di Seminyak. E’ uno spazio stretto, pieno di buche perennemente colme d’acqua e fanghiglia, tra le quali sono parcheggiati alla rinfusa diversi motorini. Foglie di banano, brik vuoti di teh al gelsomino, bicchieri di plastica e bucce di frutta popolano allegramente il suolo parte di terra parte di sassi e asfalto sbrecciato, prima della pulizia notturna.

I banchi di frutta e verdura e generi vari, allineati in tre file, lasciano stretti corridoi per il passaggio della gente. Il concetto di mercato in spazi limitati sembra rispondere ad un bisogno di contatto oltre che alle necessità quotidiane. Pare quasi che, nell’ansia di vivere, anche all’esterno degli spazi domestici, relazioni “fisiche” tra le persone, si costringa tutti a strusciamenti, toccamenti, carezze. E’ un rito di rafforzamento della convivenza che, in fondo, privilegia le genti del “quartiere” che poi si conoscono tutte. Qui a Bali spiccano i colori dei fiori usati per la confezione delle offerte rituali da compiere ogni giorno. Frangipani, la magnolia cempaka, tagete e campanule azzurre si vedono a mucchi tra i frutti e le insalate. Giovanette, in un canto, compongono pazientemente i vassoi di foglia di palma, miscelando con estetica antica colori e forme. Poi ognuno, a casa propria, arricchirà l’offerta con un biscotto, una sigaretta, un biglietto da mille rupie.

Gli acquisti sono estremamente economici e i piatti pronti apparecchiano un pasto gustoso con poco più di un euro. Gli odori, la confusione, i dialetti parlati, le immondizie ed il fango tengono convenientemente lontana la grande maggioranza di visi pallidi. Solo pochissimi si godono verdure e frutta fresche ogni giorno, anatra fritta croccante o il gorengan, il fritto misto all’indonesiana. Devo confessare che è stato quest’ultimo, assieme alla papaya sempre a giusta maturazione, ad attirarmi qui.

Dopo le 17 il banchetto del fritto s’avvolge nell’odore penetrante del calderone d’olio bollente da cui Ayu sforna a ciclo continuo fette sottili di tempeh croccante, cubetti di tofu ripieni di verdure,  tranci tondi di tapioca e banane kapok. Tutte pastellate e da gustare calde e ben scolate. Il tempeh è tanto croccante da sembrare una patatina fritta e il tofu ripieno è molto più piccolo che in altre friggitorie e si consuma più agevolmente. Ogni tanto compare anche il bakwan, piccola frittella di verdure miste, in cui prevalgono le note dolci della carota e del cappuccio. L’accompagnamento tradizionale è un mucchietto di peperoncini verdi, da sgranocchiare tra un fritto e l’altro, consegnandosi totalmente all’ardore del palato locale .

I banchi di cibi cotti confinano con la strada, separati da un muro basso. E’ la zona del drive in, dove passanti e motorini si fermano, ordinano il necessario, pagano e ripartono. Ho preso l’abitudine di appoggiarmi proprio qui, sul lato strada del muro: osservo i cuochi che tagliano le banane per il lungo ricavandone fette sottili che poi ricompongono due a due, stringendole brevemente tra le dite (in questo modo si mantiene un cuore morbido al centro della frittella croccante). Altri saltano nel wok un riso con verdure o riempiono di zuppa di pollo piccoli sacchetti trasparenti. Proprio in fondo alla fila c’è il banco che frigge pollo e anatra. Qui di domenica si trovano i cibi pronti per il picnic, involtini di banano cotti alla brace, con dentro una polpetta di pesce e spezie o il nasi kotak, pasto completo con riso, pollo, tempeh e vermicelli, il tutto avvolto in una foglia acconciata in una caratteristica forma a tetraedro, ottimo per una mattinata passata in spiaggia a spiare i visi pallidi. C’è serietà nei volti, intenti nel lavoro, ma basta la presenza ancora insolita dello straniero e volano i commenti sagaci, le battutine che lasciano spazio agli ampi sorrisi che accompagnano i piatti ordinati. Se non mi trattengo e sgranocchio con avidità la prima frittella, il sorriso si allarga e s’accompagna ad un cenno di compiacimento e di consenso.




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