Mi sveglia, all’alba, lo sciabordio sempre più forte dell’acquazzone. Ondate d’acqua s’abbattono sulle tegole del tetto e, come sempre, mi chiedo se qualcosa attraverserà il graticcio di bambù.
E’ il primo suono che sento nel giorno del silenzio, il Nyepi.
Bali dedica un giorno all’anno, l’ultimo giorno dell’anno lunare, Isakawarsa , al silenzio. Che formidabile modo per rinsaldare il legame con la natura e gli dei che la popolano e risiedono dentro gli esseri umani. Un giorno dedicato ad ascoltare l’universo che ci circonda, e l’infinito dentro sé, togliendo di mezzo la barriera che suoni e rumori hanno eretto. Un “faccio rumore di meno” applicato a tutti coloro che vivono sull’isola, stranieri compresi. Poche eccezioni, i servizi vitali, le emergenze sanitarie e, dopo lunghi dibattiti, i turisti che stanno in hotel. Non possono uscire, devono tenere un comportamento composto, ma possono usare le amenità della villeggiatura.
Nessuno lavora, né viaggia, anche l’aeroporto è chiuso. I più osservanti non parlano e digiunano. Un’isola con 4 milioni di abitanti che stanno in silenzio per 24 ore. Che spettacolo magnifico, se solo lo si potesse testimoniare. Ma vige la regola del restare al chiuso nel proprio luogo di residenza. Non si può uscire, non si possono usare macchinari di alcun genere, non si possono accendere luci o fuochi dal tramonto all’alba. Ognuno, quindi, deve testimoniarlo dentro di sé, nel proprio intimo che è il luogo elettivo di questa quiete.
Ne esce fuori un mondo non ovattato ma restituito ai suoni originali, agli uccelli, agli insetti, ai latrati dei cani, al canto schioccante del gallo, al vento che agita le palme e scuote i croton, alla pioggia libera di rotolare sul tetto con la propria voce scrosciante, ai cavalloni che si spingono a riva con un accento cupo.
Un tempo dedicato ad ascoltare. Un lungo momento di introspezione, da dedicare a lisciare pieghe mentali che il rumore del mondo ha stropicciato. Un’ attenzione a timbri che normalmente sono spenti dai rumori delle macchine.
Un silenzio non scalfito, immenso, che si nutre dei propri suoni, che ammalia tanto da desiderarlo infinito. Siamo immersi nei rumori che provochiamo e il solo pensiero di staccare la spina per un giorno fa desiderare di provare ancora e ancora questa immensa libertà.
Qui, oggi, giorno del Nyepi nell’isola tropicale, si prova ciò che gli alpinisti, i sommozzatori, gli speleologi, gli esploratori della foresta amano più d’ogni altra cosa. L’assenza di rumore. E’ inebriante, è come cantare sotto la pioggia, è un’esperienza di grande empatia col nostro pianeta. E’ questo il significato profondo di un rito millenario che ci porta a trovare contenuti modernissimi nella privazione dell’azione, in questa giornata della decrescita.
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