Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

lunedì 5 dicembre 2011

Le scarpe delle donne



S’alzano i talloni, sotto s’infila un tacco, e le donne indonesiane vanno per il mondo con incedere diverso. Trovano immediatamente un panorama nuovo, nuove altezze, nuove sfide, percorsi per la verità in salita.

La soluzione fisica di come slanciare la gamba, facendo perno sul tacco, senza cedere alla prepotente gravità e franare a terra, non è facile. Da queste parti la gamba è corta, corto è quindi il braccio della leva e l’operazione bilanciamento si complica.
La prima soluzione è pura ingenuità indotta, apparentemente, dalla nuova posizione assunta dal corpo. Il tacco spinge il corpo in avanti e il peso si sposta sulla punta dei piedi. Quindi si cammina sulle punte. La donna s’adatta ad avanzare con buffi saltelli, la scarpa trascinata e mai governata. Immagino ci si stanchi subito. Ogni spostamento è una sfida, un tormento. Ci si affretta, non si incede, non si è rilassate, si fa fatica, e si vede. La scarpa striscia, strascicata da un’eterna stanca e ci si copre di ridicolo.

La seconda soluzione è elegante nella sua semplicità. Poiché il perno sul tacco è evidentemente inavvicinabile, perché non far finta che il tacco non ci sia? La fisica corre ancora in aiuto della donna della Sonda che, nel suo laboratorio casalingo, sperimenta con successo l’allargamento dei piedi, che divergono. Ora il peso può finalmente rimanere dov’è di suo diritto, sui tacchi, che però non cercano più un perno pieno, ma solo accennato, di sguincio. La camminata a papera che ne viene fuori non sottolinea certo sensualità e femminilità. Avanzare così è goffo, avvilente anche se il movimento risulta più facile e meno faticoso. Qualche volta, per buona sorte, la leggerezza dei corpi, unita alla lunga ed attenta pratica, portano ad un ancheggiare leggero, che fa quasi dimenticare il papereggiare.

Infine troviamo la soluzione di chi non ha capito nulla. Di chi vuole evitare ogni pensiero, ogni furbizia. Di chi non sa da che parte stia la fisica e se ne infischia di perni, leve, slanci e piroette. La mente, accecata dal caldo, non cerca soluzioni, non si pone nemmeno il problema e s’accascia stolida su una scelta sterile, senza capo né coda. Senza tacco-punta, infatti, col piede appoggiato, anzi sbattuto, a terra di piatto. E’ come un tuffo di pancia, accanito, ripetuto. E’ come voler infilare insistentemente la chiave nella serratura sbagliata. Non si può, ma un ubriaco ci prova e ci riprova. Ecco, queste donne indonesiane, molte per la verità, camminano come ubriache. Percuotono i piedi per terra come a voler uccidere tutte le formiche del mondo. Sollevano nugoli di polvere e il decolleté s’avvilisce in uno sbatacchiare sgarbato.
 

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