La strada per raggiungere Lamalera è nata sentiero,
cresciuta piena di buche e ora, adulta, si concede in parte ricoperta di un
asfalto sbrecciato e estemporaneo. Attraversa basse colline ricoperte di boschi
e foreste. Sullo sfondo, alcune altezze oltre i mille metri aumentano
l’asprezza dei luoghi. Eucalipti per fare legna da ardere, stretti bambù (chiamati
bélan) per costruire capanne, pareti
e pavimenti, alti kemiri, l’Aleurites frondosa dove ogni frutto da
una preziosa doppia noce, teak giovani e sottili con le foglie come orecchie di
elefante e, tra tutti, piccoli appezzamenti di odorosi anacardi.
Dietro una curva o sotto un tornante, spuntano gli ultimi
tratti di foresta vergine, un intrico di grosse liane avvinghiate agli alti ditterocarpi.
E’ una vegetazione arida, in perenne lotta con l’uomo, che
la incendia per preparare la terra a nuove semine di riso e mais. Stretti
terrazzamenti, grigi di cenere. Quasi pronti per la nuova stagione delle
piogge, che quest’anno non vuole arrivare. Sulle piogge, puntuali anche se non
proprio abbondanti, si basa la società dell’isola di Lembata, per nutrire
un’agricoltura di sussistenza. Una dipendenza codificata da regole e cerimonie
per inglobarla in un modo di vivere precario, adesso sempre più incerto. Un
complesso di riti obbligatori da svolgersi in caso di ritardo o scarsità,
intrecciato all'ossessiva ricerca delle cause di questi intoppi naturali tra
comportamenti non confacenti o conflitti tra clan.
La strada passa minuscoli villaggi e rare capanne di
contadini. Il mezzo di trasporto collettivo è un grosso camion con panche di
legno sul pianale, protetto dalla polvere da una ampia tenda rosa. Corpi
asciutti e scuri emergono silenziosi dalla boscaglia con enormi fasci di rami e
foglie in equilibrio su uno sguardo stanco.
Lamalera abbraccia la sua spiaggia nera, che da secoli le dà
la vita e la morte. Le case debordano fin in spiaggia e si trasformano in un
arco di ricoveri di bambù e foglie che proteggono l’unico bene supremo, le peledang o téna, i lunghi barconi di legno
usati nella pesca. Il sole cuoce i resti degli scheletri di capodoglio, sparsi
un po’ ovunque, come un cartello segnaletico inequivocabile. Strisce di carne
scura e grasso giallastro sono appese a seccare all'aria salsa.
Uomini seri, scuri in volto (niente baleo per l’intera settimana), stretti alle proprie barche, sparsi
sotto i ricoveri, dormono, acconciano le reti, fumano. Poche parole fluttuano
in quest’atmosfera arroventata e greve. Un vecchio si rigira sullo stretto
ponte di prua, avvolto nel suo sonno inquieto. Frotte di bimbetti seminudi
sfidano la calura giocando e ridendo sul bagnasciuga, incuranti e persi nel loro
mondo acqueo e sabbioso.
L'equipaggio di una baleniera (il baleo) è formato da tre tipi distinti di membri. Il Lama Uri è il timoniere. I Matros o Méng sono i generici vogatori e il Lama Fa è l’arpionatore, che sta appollaiato sulla piattaforma che si protrae dalla prua.
Le barche sono realizzate a mano dal legno dell'albero kana (un legno di colore rosso utilizzato per costruire l'asse principale) e sono riccamente decorate con i simboli del clan proprietario della barca.
Non tutte le specie di balene possono essere arpionate dai Lama Fa. Viene fatta una selezione al momento dell’avvicinamento e solo esemplari adulti e non gravidi sono inseguiti e arpionati. In più, la grande balena azzurra è tabù, per l'antica leggenda che la vuole aver aiutato i primi abitanti durante la fondazione del villaggio.
I pescatori riescono a catture fino a una ventina di cetacei all'anno, durante una stagione che va tradizionalmente da maggio ad ottobre, in occasione delle grandi migrazioni e quando i mari sono più calmi. La carne di balena, come di ogni altra preda catturata, manta gigante, squalo o delfino, viene macellata sulla spiaggia del villaggio e distribuita proporzionalmente tra i membri dell'equipaggio e le loro famiglie, facendo in modo che tutti ne abbiano per le loro esigenze. Si ricava anche l'olio, utilizzato nei massaggi, ingrediente di medicinali e combustibile per lampade.
Nulla si coltiva sui sassi polverosi e arsi che circondano il villaggio e
l’unico modo per procurarsi riso e mais, verdura e frutta è scambiare a dozzine
tranci di leviatano e orci del suo olio. Il mercato del baratto ora si tiene a
Lamalera Bawah (L. Bassa), ogni giovedì. Fino a poco tempo fa si teneva al vicino Wulandoni,
poi c’è stato un battibecco sul valore di scambio e le donne di Lamalera che organizzano il fule, il luogo dedicato allo scambio, hanno deciso di riaprire le bancarelle nel proprio villaggio,
come una volta.
Qui le barche hanno occhi che ti guardano intensi. Quando ti
sposti il loro sguardo si perde nel blu intenso di un mare senza fine. Scrutano
incessanti. Cercano la preda, la fonte di ogni vita.
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