La via per il paradiso richiede un veicolo straordinario. La
moto di Mikel, nipote di pak Alfons, detto Ardi, manco a dirlo, è scassata,
tenuta assieme da fil di ferro, nastro adesivo e mani del guidatore. I
poggiapiedi troppo inclinati, la sella dura e le sospensioni finite rendono
precaria e scomoda la vita del trasportato. Che deve, per l’appunto, entrare in
uno stato di alterazione psichica per affrontare il lungo tragitto, colmo di
ostacoli e insidie.
Il veicolo per il paradiso non ci abbandonerà mai, guidato
da mani supremamente abili.
Sono entrato in paradiso dopo la svolta a destra, in fondo
alla stradina che esce dal villaggio di Werang, passata la valletta ricolma di
alti alberi di kemiri e superato un
ultimo dosso.
Il paradiso è in riva al lago di Sano Nggoang, le cui acque
cambiano da verde scuro a smeraldo quando il vento sposta le nubi a suo
piacimento. Intorno c’è la foresta, con liane, ara, ficus giganti. Ovunque,
anche dietro le poche case del villaggio, volano liberi centinaia di uccelli.
Sì, ci sono anche case e persone, in paradiso, ma vivono con ritmi arcani,
sciolte da ogni tensione.
Hendrik e Maria sono tra questi, in possesso delle chiavi di
questo empireo, conservate avvolte nel loro grazioso e luminoso sorriso. Le
offrono volentieri al viandante che si avventura fin qui con l’idea di
partecipare ad una serenità che non gli appartiene più. Maria e Hendrik ti
regalano una porzione di questa realtà e, per un lungo momento di intensa
estasi, credi di poter lasciare il paradiso portandola con te per trapiantarla
con successo là dove vivi. Ma la piantina quasi sempre muore.
Loro due, incuranti dei tuoi pensieri, usano a piene mani
semplicità e sorriso, disponibilità e calore, abilità e saggezza e si
presentano così ai tanti ornitologi, ricercatori e semplici viaggianti che si
presentano alla loro porta.
Qui in paradiso, la casa di M & H è la più semplice ed
accogliente. Hanno deciso di costruirla usando solo legni della foresta e
bambù. Qui in paradiso, l’unica grande veranda è quella che corre lungo la
facciata della loro casa, alta sulla strada così da arrivare alle calme acque
del lago. Sotto la veranda, su sedili e panche massicci che ricordano le forme
della foresta, si chiacchiera, si beve il caffè appena tostato e pestato di
fresco da Maria, si leggono libri di ornitologia e di architettura.
In paradiso
si dorme su una bassa piattaforma di bambù, rialzata sul pavimento di fango. Si
mangia bene, in paradiso, il riso bollito, le verdure e i pezzetti minuscoli di
pollo fritto hanno un sapore diverso. Anche il peperoncino, abbondante, ha un
sapore diverso. Sarà che in paradiso tutto è così sapido e pungente.
Qui in paradiso c’è un luogo, peraltro un po’ sulfureo, dove
ci si lava attingendo acqua termale con tre diverse temperature.
Una serie di beringin
di proporzioni colossali sorveglia la riva del lago e offre riparo a intere
comunità di formiche, ragni, lucertole, tokay
ed uccelli, miriadi di uccelli. Impossibile ricordare tutte le specie
incontrate, ma sono molte.
Il krik krik
dalla coda a punta e piume giallo arancio verdi. L’inconfondibile richiamo del watik kembang. L’oriola gialla e nera, becco affilato, volatrice irrequieta
e inafferrabile. Il giallo grigio verde chiaro del piccolo kacamata wallacea. Il gracchiare lontano del gacak, il corvo di Flores.
Le larghe e nodose fronde del beringin chiamano a gran voce il viandante e lo invitano a sedersi
sotto la propria ombra. Se si accetta l’invito, dopo qualche tempo inizia il
coro polifonico degli abitanti alati, che incuranti dell’estraneo, riprendono l’intreccio
di richiami e avvisi. Il canto fluisce ininterrotto.
Il paradiso è musica, che avvince e allontana.
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