Un’abbondante
abluzione di acqua sacra, spruzzata su capo e viso, accoglie il
visitatore che sale la breve rampa che porta al jaba tengah,
lo spazio centrale del tempio Pura Puseh di Selumbung.
Un fuoco di grossi
tronchi arde a destra del candi bentar, davanti ad una
stuoia attrezzata con oggetti e liquidi legati ai butha kala,
i “demoni” del pantheon balinese.
La scenografia del
grande spiazzo del tempio è imperniata su due larghi bale agung,
tettoie rialzate che ospitano decine di pratima (le
statuine strumento per l’adorazione del dio supremo)
allineati su piccole portantine
di bambù pronti per essere trasportati sulle spalle
dai devoti scelti come medium. La fila di simboli sacri è ornata con
altre statue di leoni e chimere e una miriade di offerte deposte su
vassoi fioriti, abbellite con intrecci di foglie di palma e pandano,
assemblate in forme artistiche.
I paesani, vestiti a
festa, attratti dall'ombra, occupano le stuoie stese sotto le
larghe tettoie ai lati della radura, ora calcinata dal sole.
Note svogliate di
gong e xilofoni accompagnano questi momenti preliminari, come
un'accordatura di strumenti prepara orchestrali e pubblico alla
rappresentazione. I rintocchi disordinati ancorano magicamente ad una
melodia inconsapevole.
E’ il momento dei
bimbi, delle loro grida che salgono ancora libere prima della serietà
adulta della trance.
I medium, i
prescelti dalla comunità al dialogo sonnambulo con il
soprannaturale, accorrono con urla festose e agitare di kris. Premono
su una soglia inesistente per sciamare nel tempio, impazienti di
ricevere il permesso dei sacerdoti.
Dopo comincia il
caos organizzato. Un villaggio intero si dedica ad assistere e
assecondare decine di medium che si lasciano trasportare dalla
pervadente devozione lungo il sentiero dell’estasi. Alcuni si
caricano sulle spalle un pratima e vagano rapiti e incantati
al suono incalzante del gamelan. Altri brandiscono il kris e
si muovono lenti in una danza ipnotica, per scoppiare in
un’improvvisa frenesia autolesionistica, la lama battuta su braccia
e schiena al ritmo ora incalzante dei gong. Carni lacerate dalle
lame, fallita dimostrazione di possedere la grazia del dio. Sangue
che sgorga e purifica un uomo e una famiglia o affranca un villaggio
dagli alti e bassi di una stagione.
Tra tutti Rangda,
la strega, si muove erratica, quasi senza scopo, disorientata da
tanta debordante spiritualità. A tratti sembra non riesca a farsi
avanti verso l’entrata e a superare il muro compatto di effigi
divine, in qualche modo potenziate dall'incarnazione dello spirito
negli uomini in trance.
Ed è da qui, dalla
soglia del candi bentar, che si coglie un fremito nuovo nei
devoti imbambolati. Un addensarsi di movimenti erratici, un agitare
di kris. Rangda coglie il momento e ritrova l’urlo gutturale
che è il suo marchio di fabbrica e che cancella per un attimo la
melodia dell’orchestra. Sente, come un predatore, l’avvicinarsi
del Barong e si ferma davanti alla soglia ad aspettarlo.
Arriva il Barong
con il suo corteo di devoti. E’ un Barong macam, la
tigre, il corpo drappeggiato con un manto dai colori inconfondibili.
Non fa a tempo a varcare la soglia che il suo medium piomba in una
trance profonda e deve essere portato a braccia attorno allo
spianata. La sua presenza impone un cambio di registro e la frenesia
aumenta. Sempre più devoti si presentano davanti all'altare dei
butha kala, danzando le donne, agitando kris gli uomini. E
sempre più frequenti sono le aspersioni a terra dei liquidi per
placare le presenza demoniache: toya anyar (acqua pura), tuak
(vino di palma) ed arak (distillato di palma).
Ogni portantina,
oltre al medium, è sorretta da 5 o 6 aiutanti, lì ad evitare che
il posseduto, con il suo kris, faccia del male a sé e ad altri nel
suo muoversi inconsapevole. Talvolta il kris è serrato di traverso
in bocca. Il pugnale è arma maschile e insieme evidente simbolo di
genere. Taglia, penetra, affonda e ferisce, implacabile con la sua
elsa seghettata. Ma è anche il ferro che l’uomo rivolge contro se
stesso. E’ strumento per mettere alla prova il proprio spirito
puro, attraverso la violazione del proprio corpo. Chi non subisce
ferite dal ferro, o dalla vita, ha accolto il dio con convinzione.
Rimane al riparo dalle influenze malevole che si aggirano per il
mondo come Rangda si muove beffarda tra i fedeli. Quindi è a lei che
si rivolgono i posseduti quando improvviso scatta il parossismo
dell’autolesione. Le dimostrano con rabbia quanto siano immuni
dalla sua influenza malvagia. Quanto siano in grado di camminare per
il mondo in grazia della purezza infusa dal dio che hanno accolto
dentro di sé e che in loro si è fatto carne.
Il metodo balinese è
questo: evocare in un unico potente evento la leva per raddrizzare
quanto di storto c’è stato nell'anno appena trascorso. Un’unica
occasione per riaffermare collettivamente la potenza della cosa
giusta, della manifestazione divina che è in noi, riportando il
timone sulla retta via in vista dell’anno che sta arrivando. Il
tutto giostrato attorno ad un gruppo di donne e uomini (soprattutto
uomini!) designato dalla comunità a rappresentarla in questo
massiccio sforzo di riallineamento dell’equilibrio
fisico/spirituale. Il mezzo scelto non è il dialogo diretto, la
preghiera o la confessione privata, ma la trance. Lo stato alterato
della coscienza modulato come una confessione pubblica per procura.
Più sono i posseduti e più la comunità, che assiste al rito in
forma di semplici spettatori, ne tra beneficio.
Si potrebbe
definire, cinicamente, una comoda forma di rappresentazione teatrale,
dove gli attori sono designati a rappresentare la sublimazione dei
temi fondamentali del viver comune e a risolverne gli intrecci
nefasti. E dalla quale si esce tutti, attori e spettatori,
intimamente rinfrancati.
Ma tutto quello che
capita in un assolato pomeriggio nel villaggio di Selumbung, è oltre
il teatro. E’ rapimento, è coinvolgente miscela di stimoli che
consegna nuovo equilibrio a questa comunità rurale. Sono i suoni
insistenti dei gong e dei cembali, sono le urla gutturali dei
posseduti, sono i fumi dei legni ardenti, sono le essenze delle
offerte fiorite. E’ la luce nitida che disegna i volti estatici, è
la coperta azzurra del cielo che ritaglia le silhouette dei torsi
nudi rigati di sangue. Sono le smorfie e l’azzannare di maschere
che rievocano l’eterno conflitto e invitano a risolverlo in un
equilibrio.
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