Quasi mille anni fa,
il raja Cokorda di Tabanan soffriva di continue malattie. I sudditi
cercarono ovunque un rimedio qualsiasi, finché, seguendo istruzioni
avute in sogno, alcuni non decisero di inoltrarsi nella fitta foresta
che occupava allora le pendici del monte Batukaru.
L’indicazione era
di cercare un soffio di fumo che saliva da una noce di cocco caduta
in mezzo ai bambù. Da questo cocco venne tratto un medicamento che
curò il raja e lo riportò alla normalità. Cokorda ordinò di
costruire un tempio in quel luogo dalle proprietà miracolose,
chiamandolo per l’appunto Tamba Waras (la medicina che
cura).
Nel contesto del
moderno induismo balinese, qui si prega il dio unico nella sua
manifestazione di dispensatore di rimedi universali, per corpo e
mente, per il lato manifesto e quello oscuro (sekala-niskala),
una sorta di farmacia cosmica. I poteri curativi sgorgano dalle acque
di sorgente, considerate sacre nelle montagne balinesi, e dall'olio
prodotto da una pianta epifita, comune nelle foreste attorno al
tempio. Foreste che, lasciate qui indisturbate, sono il degno
palcoscenico della rappresentazione simbolica dell’intreccio
uomo-natura.
Con le abluzioni
nelle sette sorgenti, pancoran sapta gangga, ripetute nel
tempo per i casi più difficili, e un sorso di acqua di cocco
benedetta mischiata all’olio miracoloso, i balinesi chiedono
l’aiuto del dio a far uscire ogni malattia che affligge corpo e
mente. In senso letterale, tanto che ci sono luoghi precisi, fuori
dal jeroan del tempio e nel jaba, dove depositare gli
umori che il rimedio smuove, assieme ai gusci vuoti di noce di cocco.
Oltre che persone
affette dalle patologie più comuni, qui al Pura Tamba Waras
si incontrano famiglie che portano un bambino dal carattere
difficile, una giovane donna che si contorce tra le braccia di un
pemangku, accudita da amici e parenti, una fanciulla che cade
in trance non appena tocca col piede l’acqua di una sorgente.
Arriva il signore destinato ad un’operazione di calcoli renali che,
dopo la preghiera, si ritrova il rene ripulito, o la matrona che,
convinta di essere sotto l’influsso di una magia nera, si piega in
preda alla nausea appena bevuta l’acqua benedetta.
Nel jeroan,
le famiglie si apprestano alla preghiera. I padri aprono le giovani
noci di cocco verde chiaro (bungkak) cui il pemangku
aggiunge l’olio miracoloso, rievocazione del rimedio del raja. Il
tutto, assemblato a dovere in una serie di banten pejati o
offerte cerimoniali, viene consacrato al dio e benedetto dalle
preghiere dei devoti, guidati dai mantra salmodiati dal jero
mangku.
La varietà di noce
di cocco impiegata nelle preghiere con abluzione (il melukat)
è chiamata Bungkak Nyuh Gading in balinese. E’ una noce di
cocco piccola prodotta da alberi di varietà nana della specie Cocos
nucifera. Di colore giallo (klungah) quella lasciata come
offerta al momento dell’abluzione nelle fonti sacre, o verde,
quella bevuta mischiata all’olio.
Le proprietà
terapeutiche dell’acqua di questi cocchi, conosciute da millenni,
sono molteplici e ne fanno una vera panacea. Non sembra un caso che a
Bali un tale rimedio naturale sia stato mitizzato e si intrecci con
l’origine divina del suo potere curativo. Considerata dai balinesi
il fulgido raggio sacro di Shiva nella sua facoltà di illuminare e
preservare ciò che esiste in natura, l’acqua di cocco è capace di
purificare l'aura del corpo, di aprire il Chakra della Corona o
Sahasrara, di ripulire le influenze negative della magia nera
e curare le malattie.
Eccole tutte qui le
radici della pervasiva religiosità balinese: un’erboristeria
efficace che parla di una relazione millenaria con la natura, con
l’acqua fonte di vita, resa armoniosa e necessaria da una
sovrastruttura soprannaturale, per renderla inattaccabile e perpetua.
Questi i pensieri
che si perdono tra le grida della posseduta e si intrecciano al
tintinnio delle campanelle, tra fumi stordenti di incenso, circondato
da fedeli in cerca di aiuto divino per rinnovare salute interiore e
forma fisica, necessarie per affrontare meglio la vita.
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