Un
mondo d’acque, di pesci e di galli. Questo è il Borneo
Indonesiano, o Kalimantan, del grande bacino del Sentarum. Un
complesso di depressioni collegate fra loro e periodicamente inondate
dalle piene del fiume Kapuas e dei suoi tributari. La cadenza
pioggia/secco detta le regole di vita da queste parti. Banjir
e kemarau, come dicono qui. Con le piogge torrenziali tutto si
inonda e l’acqua riporta fiumi, laghi, palafitte e zattere allo
stesso livello. Spariscono i fusti di alberi e arbusti, spariscono
gli argini dei fiumi e le scalette di legno pericolosamente
vertiginose. E’ un mondo immoto, immerso, che si specchia di cielo.
Ma
ora, ora che fa un caldo atroce, che non piove da mesi, tutto
sprofonda sotto sei metri di cielo. l’aria è tornata a conquistare
uno spazio che l’acqua ha abbandonato e sembra spingerla giù,
sempre più giù.
Le
case e i camminamenti di legno appaiono appollaiati e precari su
gracili palafitte. Il mondo dei viventi va conquistato montando su
esili passerelle e salendo su per scalette infinite e pericolanti.
Sono
lunghi mesi in cui la natura stessa crea ambienti diversi, quasi
opposti. La gente farebbe fatica ad adattarsi ogni volta se non fosse
che il collante che lega assieme momenti tanto dissimili è sempre
uguale e onnipresente: acqua, pesce, galli.
L’acqua,
pur ritiratasi a magri corsi fangosi, popolati di tronchi e rami, e
stretti laghetti assediati dalle piante in piena crescita vegetativa,
è sempre la padrona degli spostamenti, della vita delle famiglie.
Tutto si svolge a contatto con l’acqua: ci si lava, si gioca, si
pulisce la barca o il bucato, si defeca, si pesca, si ammolla il
rotan, si annaffia l’orto.
E sull’acqua, anche la poca
rimasta, ci si sposta con ogni mezzo, pagaiando con fatica o
sfrecciando col fuoribordo, come libellule. Sull’acqua arrivano le
provviste dalla città e i lenti barconi dei grossisti di pesce e dei
venditori di benzina. In barca arrivano funzionari del governo e i
pochi viaggiatori che si spingono fin qui, una settantina l’anno.
Una buona parte delle attività della comunità si svolgono su
pontoni galleggianti, che rendono disponibile spazio in ogni momento
dell’anno. Gabinetti, ripostigli, gabbioni per il pesce e pollai.
Tutto questo sfila accanto alla nostra barca quando percorre lenta la
“strada” principale del villaggio. Un viale d’acqua.
É
l’acqua a fornire la fonte principale di proteine e guadagni: i
pesci. Non c’è area del Sentarum che non abbia una
trappola per pesci. Le reti di sbarramento percorrono ogni tratto del
fiume, dei canali e laghi.
Un’intera economia si basa sull’abilità
secolare di catturare una delle quasi 300 specie di pesci che vivono
in questa enorme area umida. Ogni momento è buono per pescare, anche
durante un’escursione con ospiti stranieri.
Uomini e donne passano
gran parte della loro giornata a catturare pesci, a svuotare nasse, a
riparare e riposizionare reti. Giovani donne escono pagaiando sulla
piroga, con un amo, una lenza e il bimbo al collo.
Perfino gli
anziani non smettono e, prima del tramonto, escono in piroga con una
cannetta o una lunga fiocina arrugginita, per sentirsi ancora a
contatto con l’acqua e i suoi abitanti.
Infine
c’è una componente del "collante" sociale che non passa certo
inosservata: i polli. Ogni
villaggio, fino alla comunità più piccola e remota, ne è pieno. I
pollai, dove sono confinati chiocce e pulcini, sono nel retro delle
aree private delle longhouse. Ma la gran parte dei volatili razzola
libera sotto l’immensa volta lignea che è il pavimento della casa
lunga, o rumah betang. Tutti ruspano assieme, fuggono
chioccianti, beccano qualsiasi cosa cada dal pavimento, mimano quel
che accade negli spazi comuni sopra le loro teste, dove la socialità
umana permea la grande casa. A sera, solo le donne, col loro richiamo
personalizzato, mettono ordine nell’anarchico chiocciare e riescono
a guidare i propri pennuti alla mangiatoia.
Poi
ci sono i prediletti dei maschi, i galli destinati al combattimento.
Questi, veri guerrieri cui il maschio Iban si ispira, hanno
colori sgargianti, esibiscono uno spirito marziale e virtù impavide
in battaglia. E strepitano forte prima dell’alba, scatenando un
coro polifonico che impedisce il sonno.
Quando
la piroga penetra la rete di laghi attraverso
stretti canali di acqua nera, la foresta si chiude sopra di
noi. A prua, armato di pagaia, Adi fatica a schivare tronchi
enormi, residuo di un’epoca di intensa deforestazione tanto
che spesso la barca gratta su ceppi e fusti recisi. Adi
si volta svelto e mi evita il contatto con un ramo pendente di rotan,
irto di spine ricurve. Più in là, lungo passaggi
angusti tra i
laghi, lunghe foglie di pandano si protendono sull’acqua con i
margini seghettati come coltelli da pane. Sembra che il Sentarum ci
voglia avvolgere, intrappolare. E solo a fatica, riusciamo a
sgusciare via. Resta la sensazione che lunghe braccia ti afferrino e
non ti lascino andare.
Un’acuminata
e perentoria richiesta di ritornare.
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