Una casa da arredare. Rimedio contro la malinconia e la depressione. Mobili solidi e vagamente retrò, linee severe da convento o casa di borghesia coloniale olandese. I fronzoli li ha aggiunti chi ha dipinto con tinte e svolazzi altoatesini alcuni di questi pezzi. In più, ad ornare i profili troppo seri, ci sono i merletti giavanesi, gli sbalzi, gli intagli e gli ornati con motivi floreali, sole, luna, il serpente della creazione, Naga, teste d’uccello, fili d’erba, loti.
Da una soffitta recuperiamo lunghi serpenti con spire lignee e ridicole criniere leonine. Fauci spalancate e corona d’oro in capo. Una madia con ante si trasforma in credenza con l’aggiunta di una alzata da tipografo. Compare una lunga lancia da pesca di una lontana isola della Sonda. Una buffa e colorata ciabatta cinese in legno si colloca quasi da sola, su un piede solo?, sul marmo del muretto, sopravvissuta all’attacco dei tarli che hanno sconfitto la gemella.
Un artigiano di Kerobokan fornisce i bicchierini di vetro, luccicanti di colori e disegni, che occupano vezzosamente la sommità di un mobiletto dipinto. Un altro serpente, che stava allungato su un paravento che è ora testiera di un letto, sarà presto trasformato in attaccapanni con i pomelli di bronzo scovati in un negozietto, o meglio un rigattiere, di maniglie e affini. La donnina che me li vende pesca da un grosso barattolo una polvere color mattone e li strofina a mani nude, per darmi il piacere di un aspetto lucido, levati dalle scatole polverose che li contengono.
La zanzariera, che finalmente paluderà il grande baldacchino del letto, perfetto simbolo del clima tropicale, sarà pronta domani. Intanto lottiamo svogliatamente contro le zanzare a colpi di spruzzi chimici dolciastri.
La nuova abat-jour, invece, l’ho ritirata oggi. Dopo minuziose spiegazioni su forma, dimensione, lunghezze, altezze, mi consegnano un bell’oggetto, ma in parte lontano dal pattuito. Segna, anche questo episodio, il rapporto tra il viso pallido e gli artigiani locali, tra straniero e tropico, tra il rigoroso ed il perfettibile. Immancabilmente non c’è scusa, ma un semplice, disarmante, sorriso.
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