Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

giovedì 28 febbraio 2013

Flores Centrale: i villaggi Ngada



Belaragi. Risalendo le montagne sopra Aimere si passano pascoli, orti e campi coltivati: mais, tapioca, cacao, padi ladang (riso a secco), tutti recintati con steccati di bambù per proteggerli da maiali e cinghiali.  Si sale fino a Paukate, dove risiedono la maggior parte delle famiglie di Belaragi, perché è dove hanno le piantagioni. Più su, la stradina rabberciata alla meglio riprende il suo antico aspetto di sentiero roccioso e fangoso. Lasciate le moto si prosegue a piedi, in una salita agevole in mezzo alle colline. Belaragi è collocato su una cresta livellata a 700 m di quota, che scende dolce verso il mare, con una vista di incomparabile bellezza. Le case sono disposte come vuole la tradizione su due file parallele con al centro un ampio spazio comune, dove si trovano le tombe comuni e quelle degli antenati. In mezzo si fronteggiano, su due file, i simulacri maschili e femminili degli antenati, in alto gli ngadhu e in basso i bhaga, qui a Belaragi messi a chiudere l’entrata al villaggio. E’ morto uno degli anziani e tutti gli uomini validi, assieme a gran parte delle donne, sono giù a Paukate per le necessità del funerale. 
Al villaggio sono rimaste tre vecchine che, con calma, escono fuori dalla parte interna della casa e si siedono sulla veranda esterna, ad accogliere i visitatori. Accettano il dono di betel e subito lo spartiscono nelle scatolette, buste e borsette che sempre le accompagnano e si dispongono di buongrado a fare quattro chiacchiere. Parlano una lingua che deve essere tradotta in indonesiano per essere comprensibile. Cani ringhiosi e contemporaneamente paurosi popolano le verande di tek e bambù e scorazzano tra le pietre sacre dei turè, le tombe tra le case. Le abitazioni sono di taglia relativamente piccola ed hanno la veranda interna chiusa con spesse tavole di mogano, lasciando una stretta apertura che corrisponde all’altra soglia, più interna, che porta allo spazio esclusivo della famiglia, il onè sa’ò.

Tololela. Un villaggio appollaiato in alto alle pendici del vulcano Inerie. Case aperte e molto decorate. Una nuova casa è in costruzione nello spazio antistante la vecchia. Davanti ad un caffè nero e spesso, che viene dalle piantagioni del villaggio, si dipanano le spiegazioni. La casa ngada è formata da 7 livelli, dall’esterno all’interno e sempre 7 sono le parti in cui e divisa la facciata della on’è sa’o, quella più decorata. Quattro travi incastrate ai quattro spigoli formano la cornice di base che sostiene quattro pali su cui poggiano le altre quattro travi che inquadrano il soffitto. Dall’incastro tra i pali () con le travi () spuntano, in basso, quattro lunghi perni (i peni) che conferiscono solidità fisica e figurata alla base della oné sa’o.
Un venditore gira il villaggio con un secchio di pescetti di mare, 40 cent. La dozzina. Piove e le donne s’affrettano a ritirare i panni stesi ad asciugare sulle pietre piatte delle tombe, scaldate dal sole. Da pochi mesi è arrivata l’elettricità e, con lei, il contatore, la tv a colori, e la luce di notte. La tv è il nuovo sottofondo di qualsiasi conversazione e gli adulti che l’hanno la tengono sempre accesa. Loro, più che i bambini, sono attirati e incantati dalle soap opera. I bimbi appaiono più annoiati da un giocattolo che ancora non emoziona e non fa da baby-sitter. Il sottotetto di ogni veranda ospita i resti scheletrici degli animali scarificati durante le cerimonie rituali, mascelle, crani, corna appesi in file ordinate e vagamente minacciose. Le decorazioni e gli intagli sono semplici e spesso non colorati.

Gurusina.  Un vasto villaggio terrazzato, con tre woé o clan. Le case sono ampie, aperte e molto ben decorate. 
I simboli sono colorati in giallo, bianco, rosso, arancio e nero: galli che defecano orecchini (balé) e pendagli (taka e gebé), serpenti (sawa) dal corpo di cavallo che portano sulla lingua serpeggiante altri orecchini. Cavalli (jara) con in groppa cavalieri armati di lancia e con gli zoccoli a ricciolo. Gli animali sono avvolti in intagli di vario tipo e intrico: ulu pali, due virgole testa contro testa; li’è seko, la convoluzione delle interiora di maiale; lebé sewa, a forma di ali di pipistrello o rondine; légé neka, le strette spirali senza fine e intrecciate su sé stesse che simboleggiano i forti legami all’interno del clan. Sopra la soglia e sul frontone dello zoccolo anteriore della veranda stanno i palchi di bufalo, fioriti  di monili d’oro e bisecati da lancia e spada. La bisettrice dell’edificio è segnata in alto dalla spada (sobhi laja) e in basso, sullo zoccolo, dalla lancia (bhuja). In una casa del villaggio, a fianco della coppia di pollo e gallina (manu) sono dipinti dei bizzarri granchi gialli (kojo). 
La parete interna è lisciata e lucida e, spesso, il mogano rossastro brilla riflettendo la poca luce che giunge dall’esterno o quella della nuova lampadina, appena giunta in paese con l’elettricità.

Wogo Muda. Qui la comunità si è trasferita due secoli fa per paura di inondazioni causate dai terremoti. La disposizione delle case e degli ngadhu/bhaga ricorda immagini già viste. Alcune case sono appena state rifatte e il colore chiaro dei legni risalta sui grigi delle case vecchie e delle pietre. Le soglie e le facciate hanno decorazioni grossolane. 
Molte case conservano ancora le pareti esterne fatte di grossi pali di bambù sovrapposti. Una donna con due gemelli diversi in braccio offre ospitalità. I bimbi di meno di due anni hanno la tosse. Sono silenziosi, quasi imbambolati tra le braccia della madre.

Doka.  Emerge dalla nebbia dietro un bosco di bambù. Il sentiero è una striscia scura di fango luccicante sotto la pioggia. Un cavallo solitario fa una guardia svogliata al villaggio. Due vecchine offrono riparo e chiacchiere. 
Ci si siede appena sulla soglia della veranda esterna, a sgranare fagioli rossi da baccelli già secchi: il magro raccolto della stagione delle piogge. Più in alto, sulla fila di case che chiude il borgo, amici offrono un caffè, seduti sulla soglia più interna, un gradone assurdamente rivestito con ceramiche ocra. Le notizie scorrono reciproche. E’ morta la nonna di 117 anni, la vittoria di una comunità senza stress.

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