Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

giovedì 28 febbraio 2013

Flores centrale: arrivo alla terra degli Ngada



                Gli autisti di travel si giocano la paga del giorno a carte. Seduti sotto una tettoia di legno e bambù in riva al mare, le auto giacciono scomposte intorno a loro, cariche di decalcomanie ma prive di passeggeri. Sembra proprio che stiano in qualche modo marinando il lavoro. Nessuno si schioda di lì e non resta che proseguire in autobus. Un affare colorato fuori quanto decrepito e sfasciato all’interno. Sedili come dopo il passaggio di unghiate di orso, il motore anteriore che butta il caldo verso i passeggeri, costretti, anche per questo, a tenere i finestrini spalancati e a far entrare vento e pioggia.
                La strada costiera, larga e asfaltata di recente, mette un po’ a disagio. Ma basta lasciare la costiera e salire le prime colline che la pioggia scava i suoi segni evidenti sulla carreggiata. Ecco la vecchia Trans-Flores, popolata di massi giganti che si staccano da fragili pendii fangosi e deforestati. Cascate d’acqua si riversano sull’asfalto e scavano canali profondi. Buche ovunque piene d’acqua e dappertutto uno strato di fango viscido e infido.
                Ai lati scorre il verde brillante di Flores, che si apre in risaie terrazzate alla balinese o macchie oscure di bambù e palme da olio. La strada ora si trasforma in un unico cantiere, scavatrici e rulli compressori, camion carichi di terra e autobotti che portano il catrame, operai accampati alla meglio ai lati della strada, sotto fogli di plastica. Autobotti trasportano benzina dai depositi sul mare su fino ai villaggi delle montagne e degli altipiani. Le chiese sono meglio costruite e rifinite di quelle di Sumba, che spesso non hanno nemmeno il tetto. Si percepisce un benessere diffuso nell’orgoglio mostrato dalle architetture sacre delle comunità cattoliche. A Boawae un’alta figura dipinta su un muro con vividi colori segna la parrocchia di S. Francesco Saverio. Scuole cattoliche sorgono in ogni borgo, in una profusione di tetti di lamiera che lasciano ruscellare l’acqua a terra senza rattenerla. I volti sono inconfondibilmente aborigeni, scuri con capelli ricci. Il sorriso così si staglia più luminoso, lampeggiante.

                A sera risuona il tintinnare del venditore di bakso, una ciotola di ceramica fatta risuonare col cucchiaio. Il carretto ha un calderone col brodo fumante e nelle minuscole vetrine lascia vedere spaghettini, palline di tofu e verdure. Una zuppa calda è il contorno ideale per il clima frizzante dei 1100 m di Bajawa.

                Johannes ha il volto scavato del montanaro, corpo minuto infagottato in un’enorme giaccone a vento, tre taglie più grande, di sicuro il regalo di una grosso cliente europeo o australiano. Il sorriso gli esplode in faccia come un sasso gettato in uno stagno, la pelle si arriccia attorno alla bocca aperta in cerchi concentrici, i denti si proiettano in fuori senza timidezza. Parla piano da vero uomo dell’altopiano, di casta nobile, i ga’è meze, abituato a comporre le discussioni e a pronunciare discorsi di saggezza. Scandisce le parole con lo straniero che si sforza di parlare la sua lingua. Vive con moglie e 4 figli e si destreggia tra usi e costumi Ngada forte di un sapere atavico e anni di studi antropologici a Yogyakarta.

                La pioggerella non si ferma. La strada che porta al mare e al paesotto di Aimere è asfaltata da poco e guidare la moto è un piacere, nonostante il timore di scivolare sul bagnato. Subito sotto Bajawa iniziano i boschi di bambù e  di palme immersi in una foresta rigogliosa. Il panorama è mozzafiato. A ovest le pendici e l’alto cono perfetto del vulcano Inerie. La pioggia ha modellato profondi canaloni che incidono come unghiate i suoi fianchi ricoperti di una bassa vegetazione vellutata. Sembra un pezzo di Scozia. Sono le colline di Watu Narinoto da dove i criminali venivano gettati nell’orrido, approfittando in modo spiccio delle impervie e intonse profondità.
                A sud c’è il mare, una lunga baia delimitata da una montagna che scende fino all’acqua. Al centro della baia Aimere, file di banchetti con pesce fresco, qualche ufficio pubblico, scuole cattoliche, un collegio con l’architettura alpina. C’è anche il bancomat.

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