Una luce rosso sangue getta un manto di magia e mistero
attorno alla figura di Calon Arang, la strega maligna che incute ancora terrore
tra le migliaia di balinesi assiepati attorno allo spazio allestito per
evocarla.
Siamo a Tegallalang, villaggio a nord di Ubud, davanti al
Pura Dalem Kahu, il tempio dei morti, l’ultimo giorno di luna piena di novembre,
momento propizio per ricordare la storia di una donna che, concessasi alla
voluttà delle forze del male attraverso le pratiche di magia nera, getta
incantesimi distruttivi sul popolo ma viene infine piegata dalla forza positiva
del Barong e dell’unione solidale degli esseri umani.
È l’occasione, offerta dai Banjar Pejengaji e Gagah di
Tegallalang, per scrutare nel profondo del dramma di una magia oscura e maligna
che cerca di sopraffare la parte buona della società, con gli occhi sapienti e
pragmatici della mitologia balinese. La
drammatizzazione di Calonarang al vertice dei suoi poteri magici serve come
potente esorcismo, nella speranza che per il resto dell’anno non agisca troppo
brutalmente avendo temporaneamente placato il suo appetito di distruzione.
A Bali tutti sanno che la vita è un’eterna lotta tra forze
maligne e benigne e che non ci sono veri vincitori, o meglio,che chi ne esce
sconfitto non lo è definitivamente. Molto saggiamente, pur nella consapevolezza
che il lato buono di noi stessi sia da preferire e nutrire per farlo emergere
in ogni occasione, si è consapevoli che la parte peggiore possa essere
temporaneamente zittita, ma mai annientata. E bene quindi tentare anche di
ingraziarsela e di non stuzzicarla troppo, per limitare, per così dire, i
danni.
E infatti gli appartenenti ai Banjar hanno allestito uno
spazio evocativo senza badare a spese, con una scenografia imponente ed
elaborata, giochi di luci per sottolineare le scene più drammatiche e coinvolgenti.
C’è anche spazio concesso alle riprese televisive, con l’intento un po’ narciso
di far conoscere a tutta l’isola la propria bravura (e devozione). La strega
sarà senz’altro deliziata dall’enorme baldacchino che la ospita lassù, sulla
piattaforma più alta, al vertice di una vertiginosa scalinata in bambù,
guardata da due formidabili naga.
Così potrà dominare tutta la scena e lo spazio davanti al tempio, e le sarà
data l’illusione, nel breve tempo della rappresentazione, della propria
potenza.
La vicenda, narrata all’interno di questo palcoscenico
sontuoso, si dipana tra danze di fanciulle voluttuose e dialoghi di principesse
e cortigiani. I più famosi tra essi sono immediatamente riconosciuti dagli
astanti e accolti con fragorosi battimani, le loro battute avvolte dall’ilarità
generale. E’ il momento in cui il dialogo tra l’attore e la folla si fa più
intenso, la comicità dilaga e si parla anche di vicende d’attualità. Ma le
battute fulminanti e il contrappunto tra i comici e spettatori o comici e gamelan (irresistibile un improvvisato kecak tra gli orchestrali) divertono la
platea e scatenano i commenti sagaci.
Si arriva al primo climax attorno a mezzanotte, ora
fatidica, quando un gruppo di adepte del maligno occupa la scena e si agita in
modo scomposto e allucinato. Si rappresenta la danza macabra nel cimitero,
quando gli incantesimi vendicativi vengono gettati sul regno di Airlangga e i
cadaveri vengono smembrati e suddivisi tra gli adepti: stasera sono talmente
potenti che una “diavolessa” cade in trance e viene portata via a braccia dagli
assistenti del banjar.
Poi, dopo altri lunghi dialoghi tra vari personaggi, che
preparano la chiusura del dramma, entra il re che, gonfio d’orgoglio e di
spirito guerresco, si avventura con foga su per la scala per affrontare ed
uccidere la potente strega. Ma la forza del male è troppo anche per uno spirito
regale e basta un gesto svogliato del velo sacro per vincere il povero re ed il
suo keris.
Ecco che, in pochi momenti segnati dalla confusione e dal
parossismo, si compie la storia. Il re esce ed entra il Barong, essere magico e
buffo, quintessenza della potenza salvifica e benevola al servizio
dell’umanità. Egli solo può fronteggiare Calonarang e misurarsi alla pari con
la sua forza malvagia. La battaglia infuria fino a che anche il Barong ha
bisogno d’aiuto per sovrastare la forza del male, ed ecco che in un lampo
arriva un manipolo di giovani a torso nudo che,caricati dai vapori d’incenso e
imbracciando un keris, si lanciano
nel mezzo della lotta. E’ un continuo rincorrersi, giostrare tra affondi e
parate, con gli animi che si accendono sempre più e Calonarang che si perde
sempre più in una trance parossistica. Alla fine riesce a sopraffare un giovane
assalitore ed altri entrano in trance, rivoltando su di sé il keris con il quale intendevano
ucciderla.
Immediatamente il Barong rientra e mette in fuga la strega, tra le
urla spaventate degli spettatori e i
gesti calmi e misurati dei pemangku
(i sacerdoti) che aspergono i giovani in trance e riversi a terra, esausti.
Ora, unico padrone della scena, il Barong dispensa il suo
fluido salvifico e, con l’aiuto dei sacerdoti, lenisce a poco a poco le ferite
della trance indotta dalla strega, finché tutti i giovani guerrieri si
riprendono e la cerimonia ha termine.
Gli abitanti del banjar si allontanano soddisfatti, con
ancora molta adrenalina in corpo e la sensazione che la cerimonia abbia avuto
l’effetto desiderato. Sono certi che l’eco delle trance, delle danze, della
musica, dei colori turbinanti rimanga a compiacere la strega a lungo nei mesi a
venire, potente esorcismo che stende un velo di tranquillità sulla comunità.
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