I lunghi minuti, passati sotto il sole cocente attorno al Simpang Siur, inevitabilmente ci rendono familiare l’alta e impressionante statua che lo contrassegna, il Dewa Ruci.
Il gigante Bima, messo a sorvegliare con piglio da eroe, mentre lotta col serpente dell’oceano, le migliaia di figurine umane che si affannano ai suoi piedi, potrebbe essere spostato per far posto ad un enorme svincolo sopraelevato destinato, si dice, ad alleggerire il traffico asfissiante di questa Bali moderna.
E’ l’occasione per riflettere sui guasti che la modernità subita e mal governata produce alla vita sociale ed alla cultura dell’isola che ci ospita. E’ anche un pretesto per penetrare più a fondo nella mitologia che così spesso permea la vita e la cultura dei balinesi, affascinati e soggiogati da eroi, demoni e imprese memorabili.
La storia di Dewa Ruci è una delle storie giavanesi più note ed amate, che ha valicato lo stretto di Bali e s’è radicata anche qui. E’ la descrizione di un’armoniosa relazione tra servo e padrone, rappresentati da Bima, o Arya Werkudara, e Dewaruci. E’ l’illustrazione di un risveglio, in senso buddista/induista, dell’ incarnazione dello spirito che guida il corpo e l’anima del praticante, simbolizzato da Wêrkudara, verso la comprensione della Perfezione della Vita e della Unione Mistica col Divino.
In tal senso, la narrazione s’intreccia con la tradizione sufi dell’essere umano come tripartito in corpo (raga), anima (pramana) e spirito (suksma), in giavanese jasmani, napsu e roh. La storia traccia la via, così antica nel genere umano e presente in ogni cultura, dell’unicità della persona e della necessità di cercare in sé stessi la perfezione di un essere completo, attraverso una pratica lunga, faticosa e piena d’insidie.
La tortuosa vicenda del baldo Bima si annoda con la narrazione del Mahābhārata. I cinque fratelli Pendawa hanno, in comune coi loro feroci cugini Kurawa, un precettore, il Guru Durna.
Durna affida a Bima un compito creduto impossibile: trovare l’acqua sacra Prawitasari (Prawita, pulito, sacro; Sari, essenza), cioè la sacra essenza della conoscenza.
Si crede che l’acqua sacra si trovi nella foresta di Tikbrasara, alle pendici del monte Reksamuka.
Questa prima ambientazione richiama il forte impulso alla conoscenza del praticante, attraverso i sensi e la vista (reksa muka) in particolare.
Questa prima ambientazione richiama il forte impulso alla conoscenza del praticante, attraverso i sensi e la vista (reksa muka) in particolare.
Bima è all’inizio del percorso che lo farà giungere all’essenza della sacra conoscenza attraverso il samadi (o stadio finale di ogni via spirituale autentica, l’estasi divina). I passi che intraprende sono la purificazione del proprio corpo e anima con acqua e la concentrazione mediante la focalizzazione dello sguardo (paningal) sulla punta del naso.
Nella foresta Bima è assalito dai due fratelli giganti Rukmuka e Rukmakala. Bima, inizialmente quasi sopraffatto, riesce alla fine ad ucciderli entrambi, elimina, cioè, gli ostacoli che gli impediscono di raggiungere il suo scopo. I due orchi infatti rappresentano la passione per il cibo delizioso (Rukmuka, da ruk, danno; muka, faccia – o Kamukten) e la passione per le ricchezze materiali (Rukmakala, da rukma, oro; kala, pericolo – o Kamulyan), impedimenti alla concentrazione, barriere che coprono la propria vista interiore.
A questo punto Bima si rende conto che l’acqua sacra non si trova nella foresta e torna dal guru Durna. Questi gli fornisce un altro indizio: l’acqua sacra si trova sul fondo dell’oceano (samudra), ed è lì che l’eroe si reca senza esitare, anche contro l’obiezione della madre e dei fratelli.
Samudra, la vastità dell’oceano, rammenta a Bima che l’uomo virtuoso deve possedere un cuore grande come l’oceano per saper perdonre il prossimo. Non appena s’immerge nell'oceano, un serpente gigante lo assale. Solo con la potenza magica degli artigli dei suoi pollici, il kuku Phancanaka, riesce a smembrare e sopraffare il serpente. Si libera così anche dalla parte oscura e malvagia del proprio cuore, il rettile, con la forza dignitosa di chi ha raggiunto la vera realtà delle cose.
Immergendosi sempre più in profondità nell'acqua, Bima infine perde coscienza e quasi affoga. Si sveglia e vede davanti a sé un proprio doppio, ma in miniatura, che risponde al nome di Dewa Ruci (il dio minuscolo).
Il santo Dewaruci chiede a Bima di entrare dentro il proprio corpo, per abbracciare con lo sguardo tutte le cose. Bima, prima riluttante, obbedisce e s’introduce dentro di Sé/Dewaruci attraverso l’orecchio sinistro. Qui, al culmine della meditazione, concentrando la propria mente nello spazio interiore, infinito, gli si apre la conoscenza del mondo intero.
All’interno di Sé/Dewa Suksma Ruci, Bima raggiunge e accetta la piena consapevolezza del samadi, l’unione tra servo (Kawulo) e padrone (Gusti). Nello stato di compiuta visione interiore (paningal), Bima può vedere ogni cosa, tutto gli si manifesta (tinarbuka) e, nella sua essenza più intima, egli è uno col divino, ora indivisibile, ed ha raggiunto la vera realtà.
Lo stato di risvegliato gli dona una felicità mai provata, che non vorrebbe mai far cessare. Ma permane la consapevolezza dei propri doveri verso la famiglia e la società, ai quali è destinato. Bima, ora Dewaruci, ritorna ai suoi obblighi trasformato, sia esteriormente che interiormente. Il segno dorato tra gli occhi lo distingue come colui che pratica regolarmente il samadi; i braccialetti candrakirana mostrano il suo potere sulla divina luce lunare della vista interiore; la veste batik policroma simboleggia il dominio sui propri desideri; il bastone asem mostra l’attrazione unicamente verso la ricerca della perfezione; gli artigli la forte presa sulla vera conoscenza e la potenza della piena responsabilità morale.
Ora può raggiungere i fratelli Pandawa e sconfiggere, uniti, i 100 Korawa.
(articoli di giornale rimaneggiati)
(articoli di giornale rimaneggiati)
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