Il tabacco prodotto a Jember è della migliore qualità, tanto da essere indicato nella preparazione dei sigari. La cooperativa Kartanegara, formata da ex dipendenti della PT Perkubunan Nusantara, ha iniziato una produzione di sigari per conto terzi, impiegando manodopera locale femminile di grande esperienza. Una distesa di foglie, stese al sole a guisa di tappeto rosso, accoglie il visitatore nel viale d’accesso. Bassi edifici, immersi in un grande spazio alberato, un campo da tennis in cemento, poche persone in giro, secondo lo stile di basso profilo dei tropici.
La stanza dove avviene la manifattura è impregnata dell’aroma denso e dolciastro del tabacco. Mani abili, mani femminili, stendono con delicatezza la grande foglia sul piano di vetro. La tagliano in piccoli rettangoli, aiutandosi con uno stampo di plexiglas. Queste porzioni di foglia essiccata, ma ancora flessibile, sono velocemente riempite con tabacco sminuzzato e arrotolate con poche capaci mosse e l’aiuto di un semplice telaietto di legno. Un’altra foglia viene spianata, privata della nervatura centrale e tagliata longitudinalmente fino a ricavarne almeno tre strisce. Una di queste strisce è avvolta abilmente a spirale attorno al nascente sigaro: è il wrapper. Altre abilità, nella misura e nella cernita, si mettono in campo per pareggiare i sigari grezzi e selezionarli per colore e taglia. Ogni più piccolo scarto della preziosa foglia color caffelatte è recuperato e riciclato. Infine l’impacchettamento, prima con involucri individuali e poi in scatole di latta che, il committente australiano, ha voluto di un modaiolo color pervinca.
Confezionare sigari anche qui è affidato alla delicata sapienza femminile. Un accessorio del gusto tipicamente maschile è amorevolmente assemblato, dalla foglia al cilindro compatto, da mani di donna. E forse anche questo contribuisce a farne un oggetto ambito ed esclusivo in un mondo di maschi.
Nel vicino Cigar Corner, la cooperativa espone campioni delle sue produzioni, in scatole che riportano sul coperchio prevalentemente immagini esotiche ed evocative di Bali, una danzatrice, la maschera di Barong, un coro kecak. L’accostamento sigaro-liquore, così ricercato tra i buongustai, è malinconicamente relegato al ripiano polveroso di un armadio, poche bottiglie di vino e Fernet Branca, assurdamente vuote. Fuori, accostata ad un muro bianco, riposa una silhouette in compensato a grandezza naturale, il testimonial, dicono di grande appeal ma ormai in disuso, di una popolare linea di sigarilli. L’uomo, vestito d’un gessato nero, cappello a tesa abbassato sugli occhi, sigaretta che pende verticale dalle labbra strette appena segnate da baffetti precisi, è il ritratto improbabile d’un picciotto mafioso d’oltre oceano, abbastanza stravagante da sortire l’effetto di emulazione del macho medio indonesiano.
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