Oggi, in uno sperduto paesino alle pendici del grande monte Batukaru, sotto una pioggia oceanica e fulmini a pochi passi, le mani esperte e indagatrici di un massaggiatore balinese hanno sondato a lungo i miei dolori. Ho scoperto alcune cose nuove del mio corpo, nuove fitte, nuovi riflessi. Ho scoperto anche che i balinesi, tutti, allo schiocco del lampo si tappano le orecchie per non ascoltare il tuono.
La scena era da quadro di Corot, toni scuri poco contrastati, la cupezza del temporale avvolgeva tutti. Le facce livide dei pazienti e amici, in attesa del loro turno, rispecchiavano l’ansia per il saettare elettrico, il dolore che li aveva condotti lì, la rassegnazione per la lunga attesa.
Pak Wayan è un tukang pijat, un massaggiatore abile, con la capacità di suscitare riflessi là dove non esistevano prima. Ha un bel viso, capelli appena brizzolati, veste il sarong con la cintura tradizionale, riceve a casa sua, a Pekan, di fronte ad un tempio ricolmo di fregi fioriti. Ha mani che, ad un certo punto, paiono lavorare da sole, non mosse da comandi superiori. I tendini ed i nervi sono corde di un’arpa antropomorfa che evoca e suona, fino a trovare una nuova armonia nel corpo del paziente. Non insiste avido sulle sofferenze che induce, ma le accarezza per ricondurle entro lo schema balsamico che sta costruendo. Poi, finite le abluzioni rituali, raccoglie le offerte di ognuno e le concede in preghiera al suo dio, affinché la mano che ha guidato sia efficace nella cura.
Un’operazione salvifica di tale portata avviene nella più totale nonchalance di una casa balinese, dove bimbette giocano a rincorrersi in bicicletta, gridando felici. Galli inseguono galline, galline inseguono pulcini e tutti sono inseguiti da gatti e cani. Uccelli canterini sono appesi ovunque sotto le verande, una nera maina ride della risata dei bambini e saluta con i toni del capofamiglia. Piante profumate, fiorite di cento colori, pennellano i molti grigi del pomeriggio. La casa, composta da vari piccoli padiglioni separati, ciascuno con una sola camera, immersi in questo giardino lussureggiante, mette pace nell’animo. Il viandante si sente sempre a proprio agio in una casa a Bali, subito parte di un gruppo che lo avvolge con la spontaneità della vita domestica.
Ho scoperto, infine, che un massaggio “domestico” è un affare pubblico, qui. Il massaggiatore esercita sotto gli occhi di tutti, che stanno accosciati lì intorno, nella stessa veranda. Ognuno dice la sua, sul tempo, su quanto pioverà, su quanti anni ha l’ultima nipotina, su da quanto ha la patente quello lì, sulla pendenza del giardino, che non può allagarsi. Anche i commenti sull’andamento del massaggio sono trasversali e ai miei grugniti di dolore rispondono le risatine e le spiegazioni di Wayan, i commenti degli amici, le occhiate preoccupate e di commiserazione del prossimo paziente. Ad un certo punto, capito che la mia voglia di privacy non interessa a nessuno, e non ho alcuno schermo dietro cui nascondere le smorfie di sofferenza, intervengo con un paio di battute, che scatenano l’ilarità generale.
Risate freddine, però, di chi è venuto a cercare le mani nervose e sapienti di Wayan.
I massaggi in Asia sono sempre esperienze interessanti, e in effetti, spesso, "semi-pubbliche".
RispondiEliminaIo li ho provati in Thailandia e in Laos - due tecniche piuttosto diverse ma altrettanto benefiche - e darei molto per poterli riprovare.
Sarebbero un bel modo di festeggiare il natale.
In ogni caso, tanti auguri di buone feste,
Marco
questo non è un massaggio "usa e getta" in una spa da turisti (per altro, spesso, gradevole e rilassante). è un massaggiatore di villaggio, da noi si chiamerebbe un tiraossi o aggiustino. Bravo. dopo, a casa, ho dormito profondamente. Ma mi hai dato un'idea e oggi, Natale, lo dedicherò a piscina e massaggio.
RispondiEliminaAuguri anche a te e grazie
GC