Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

domenica 7 novembre 2010

Penida andata e ritorno (1)

Sanur, la sabbia nera comincia piano piano a scaldarsi al sole delle 6 di mattina. Gitanti giavanesi hanno viaggiato tutta la notte per assistere, sfiniti, al sorgere del sole. Ragazze scout, in maglietta bianca e pantaloni scuri, si bagnano in gruppo nelle acque ancora grigie, in una sorta di jamboree marino. Coppie di figli chiedono di far da fondale al loro ricordo fotografico. I bambini sono particolarmente attratti ed intimoriti dalla mole e dal pallore di questi stranieri, che sembrano buffe incarnazioni dei clown del teatro delle ombre. Un megafono raduna il gregge di vacanzieri che, andandosene, lasciano i pochi passeggeri della barca a guardarsi l’un l’altro, sorseggiando una tazza di caffè accompagnata da banane fritte.
Le barche che solcano questo tratto di mare sono dipinte in colori sgargianti. La nostra è celeste con grandi zampe arcuate gialle e rosse, che sostengono i lunghi bilancieri bianchi. Ci lasciamo alle spalle una costa densa di nubi temporalesche, tra le quali il grande vulcano gioca a nascondino.
Nuvole gigantesche si elevano in candide volute dal mare tropicale. Scorrono sullo schermo mosse dal rollio della barca, visibili dall’apertura nello scafo celeste che mima il colore del cielo.
Le facce intorno sono serie, occhi abbassati o persi nella stiva vuota, non si sente una parola. Alcuni dormono nel tentativo di scacciare la necessaria paura del mare e della traversata. Anche chi da di stomaco lo fa appartato, pochi suoni, una mano sulla fronte abbassata, poi lasciata a coprire, in un eccesso di vergogna, la bocca.

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