Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

domenica 7 novembre 2010

Penida i colori (2)

Alte scogliere a picco sul mare. Un prato verdissimo d’erba bassa, regolata da poche mucche color caffelatte. Rocce calcaree affiorano sui pendii ondulati ed un orlo popolato da bassi cespugli che cercano il vuoto. Cavallette schizzano ovunque in un intreccio disordinato  e mosche pascolano là dove le vacche hanno fatto.

La lucente pietra calcarea che è l’ossatura dell’isola offre nuove opportunità cromatiche all’architettura sacra. I portali dei templi, bianchi di un candore accecante, spiccano nitidi tra il verde degli alberi e il grigio dei muri di cinta. Il cinerino uniforme dei luoghi sacri balinesi, fatti di pietra lavica, declina con efficacia il costante passaggio tra bene e male, bianco e nero. Qui, a Penida, portali immacolati ed elaborati altari nivei, si concedono invece splendenti appena eretti. Col tempo e con l’opera neutrale della natura, mutano in un grigio colato e poi maculato. E la transizione si compie nuovamente, verso tutte le condizioni sbiadite che ricordano alla gente le infinite facce, sfumature ed intrecci che i comportamenti malevoli intessono col nitore abbagliante dell’animo puro. Una sapienza condivisa che si perpetua nella pietra.

Anche la scelta delle figure che adornano ogni angolo degli altari squadrati, indica una simbologia religiosa originale. Grifoni alati con corpo di leone, cigni sinuosi ad ali spiegate, facce di elefante dominate da proboscidi ripiegate. Ghirigori e foglie e fiori. Tutto elaborato con la pietra calcarea che sottolinea il tuttotondo attraverso un infinito gioco di ombre. Un chiaroscuro che è la parola d’ordine di questo universo, reso vivo dal sole cocente.

Ovunque si vada, a Penida, si è accompagnati da questo dialogo tra luce e ombra, tra corte pennellate di tenebra che limitano, anche spiritualmente, le prepotenti estensioni di luminosa positività.

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