Kaart van het Eyland Bali (Valentijn, 1726)

lunedì 8 novembre 2010

Rangda e il tektekan

  A Kerambitan, nel cortile esterno del palazzo del raja, si dipana la storia della strega Rangda, che né uomini né animali divini possono sconfiggere. Re e generali si scontrano coraggiosi con lei all’arma bianca, ma ne escono presto sconfitti. Le sue ancelle infernali, possedute da una bellezza malefica, sono i volti delle avvenenti fanciulle del villaggio. Nel fascino femminile, sembrano raccontare sotto i veli bianchi del sortilegio, si celano sventure e incantesimi nefasti per l’intera comunità.
 Anche il Barong, essere animalesco semidivino, che veste i panni della natura buona, amica dell’uomo, viene sconfitto. Il duello è giocato su aggressioni saltellanti, balzi felini, grida allucinate, sbatter di mascelle. Poi, a Rangda basta un semplice palpito del suo velo magico, agitato da una mano artigliata, e lo stende a terra. Nemmeno la natura, possente ed ingenua, può nulla contro la poderosa malvagità che emette un’anima oscura.

A difesa estrema del Barong, della natura ferita, si materializza una schiera di uomini a torso nudo, armati di lunghi kris acuminati.
Qui la scena si fa convulsa e le urla ghignanti della strega più acute e sfrontate. Rangda sfida apertamente gli uomini armati, che si scagliano su lei cercando di trafiggerla. Pur gettata all’indietro dalla potenza degli attacchi, la pura malvagità riemerge intatta, protetta da una millenaria invulnerabilità. Lei, non paga, saltella beffarda, con movenze oramai frenetiche e grida agghiaccianti.
 Il ritmo delle percussioni (“tek, tek, tek”) accompagna in crescendo il parossismo dell’azione finché, inaspettatamente, Rangda si toglie la maschera lasciando il suo avatar nudo in mezzo alla scena, protetto ora solo dall’intensità della sua stessa possessione. Ancora pochi, disperati, assalti e, ad un gesto ampio del braccio, il velo del male getta tutti a terra, esausti nella pantomima della maledizione mortale. Rapido un sacerdote spruzza ogni uomo con acqua sacra e lo risveglia alzandolo per i capelli. Poco oltre un altro sacerdote suggella la fine della sfida con il necessario sacrificio di sangue, senza il quale lo spirito maligno continuerebbe a stendere i suoi artigli malefici su palazzo e villaggio. I balinesi sublimano così la lotta interiore che ogni giorno si trovano ad affrontare col proprio lato oscuro.

Sul terreno finisce di contorcersi il pulcino sgozzato e la sua agonia sembra scacciare la nera ombra di Rangda, che svanisce oltre le alte porte del palazzo di Anyar.
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